La campagna elettorale appena iniziata si sta caratterizzando con proposte di revisione di tutte le riforme fatte nel corso degli ultimi anni. Da quelle delle pensioni del ministro Fornero al Jobs Act, dalla doppia moneta euro-lira al salario di cittadinanza è un sistema di fuochi di artificio che disegnano un mondo dei sogni. Anche non volendo prendere in considerazione la fondamentale domanda degli esperti di drogheria, chi paga?, e quindi la fondamentale questione del debito pubblico, resta forte l’impressione di un’insensata voglia di rispondere ai problemi e alle paure della gente con una fuga dalla realtà.
Ad allargare il varco, non solo con proposte di revisione e/o abolizione di riforme, ma proponendo ulteriori incrementi di spesa pubblica, è arrivata la prima idea (?) da parte del Presidente del senato Grasso. Essendo diventato celestiale leader della nuova internazionale, il ragazzo di sinistra con pensione superiore ai 240.000 euro ha pensato di lanciare una proposta realmente rivoluzionaria: università gratis per tutti. Nel Manifesto di Marx-Engels non se ne parlava perché il testo era viziato da un certo riformismo dell’epoca. Ma avendo adesso chiarito lo sbocco rivoluzionario, la proposta è diventata la bandiera della nuova sinistra istituzionale.
Il risultato delle prime proposte è quindi quello che potremo rimanere a lungo all’università guardando gratuitamente la Rai e ricevendo, senza lavorare, un bel reddito di cittadinanza per diventare poi baby pensionati a seguito dell’abolizione della Fornero. Lasciando da parte le metafore, i temi sollevati sono certamente seri e pesano sulla vita quotidiana di molti giovani. Le soluzioni non sono però semplici e non si possono ridurre al taglio di costi che vengono poi redistribuiti sulla fiscalità generale.
Il ritardo italiano negli investimenti in capitale umano è un tema all’ordine del giorno. Pochi sono i laureati e pochi sono quelli nelle discipline scientifiche ed economiche che sono i più richiesti dallo sviluppo economico in corso. A ciò va aggiunto il ritardo con cui si sta cercando di creare un secondo canale di formazione terziario per la formazione di figure professionali richieste dal sistema produttivo ma che non hanno canali di formazione nell’attuale sistema… Negli ultimi anni si è iniziata una politica di risposta a questo problema L’avvio dell’alternanza scuola-lavoro come parte integrante del sistema educativo nazionale ha di fatto aperto al recupero di una fase di orientamento collettivo, tappando una grande falla nel rapporto scuola-lavoro che caratterizzava il nostro sistema.
Molte sono state le iniziative positive di avvio di un reale rapporto con il saper fare che hanno accompagnato l’avvio delle esperienze di alternanza. Il formarsi di una nuova figura di tutor sia scolastico che di impresa, che accompagna gli studenti in queste nuove esperienze, porta a fare un grande servizio di orientamento non lasciando più la scelta dell’investimento in formazione alle sole sollecitazioni famigliari o indotte dalla comunicazione.
A fianco e a rafforzamento dell’alternanza si è avviato anche un reale sistema duale italiano. I percorsi di formazione professionale, abbinati alla riforma dell’apprendistato, hanno creato un sistema formativo legato all’imparare a saper fare che arriva fino alla formazione terziaria parauniversitaria. Laddove le Regioni hanno rafforzato e sostenuto queste scelte, si sono introdotti canali per passare dai percorsi di formazione professionale a quelli scolastici tradizionali, recuperando così la possibilità di arrivare al diploma e alla laurea anche con un percorso alternato fra formazione professionale, lavoro e scuola.
Il sistema si è dotato così della strumentazione necessaria per offrire a tutti percorsi sempre più personalizzati per aumentare le proprie competenze, investire i propri talenti e aprire a un sistema formativo che può proporsi lungo tutto l’arco della vita attiva, superando lo schema industrialista del periodo di sola formazione cui seguiva quello lavorativo, spesso caratterizzato da un’unica professione a vita. Il potenziamento del nuovo sistema porta a una crescita collettiva del capitale umano a tutti i livelli. Da qui si può partire per individuare con quali sistemi sostenere nei percorsi formativi quanti partono svantaggiati per reddito.
Le riforme operate negli ultimi anni, rispondendo al dettato costituzionale che indica sì il diritto al lavoro ma anche il dovere di contribuire alla crescita sociale ed economica, hanno cercato di operare una svolta nei contributi a sostegno dello svantaggio sociale. Si è introdotto, dagli interventi per il reddito di inclusione come per le riforme degli ammortizzatori sociali, il concetto di pro-attivazione. A fronte della presa in carico di un servizio sociale per rispondere al bisogno del singolo o del nucleo famigliare si traccia un percorso di impegni che l’assistito deve seguire per uscire dallo stato di bisogno in cui si trova. Sono veri e propri patti di servizio per cui in cambio del sostegno al reddito, o del poter fruire di servizi gratuiti, ci si impegna a svolgere compiti di utilità sociale o di formazione personale per arrivare a poter contribuire in modo autonomo, con il proprio lavoro, alla crescita sociale ed economica.
È un cambio di paradigma che tiene conto del mutamento in corso nel mercato del lavoro e dei riflessi che questo mutamento ha sul sistema storico del welfare. Sono due concezioni che si scontrano. Chi pensa che tutto resti fermo al sistema tayloristico del lavoro e al modello di welfare collegato, scarica sulla spesa pubblica tutte le soluzioni ai problemi. Chi ha fatto tesoro dei cambiamenti si pone nuovi modelli per assicurare a tutti nuove tutele che rispondano in modo sostenibile alle sfide dell’oggi. Ci auguriamo che nel corso della campagna elettorale si esca dalla propaganda per far emergere con chiarezza le scelte che vengono proposte.