Nemmeno in un’economia rigidamente pianificata, in cui lo Stato decida della vita dei cittadini dalla culla alla tomba, la domanda di lavoro si giustappone meccanicamente all’offerta; e viceversa. Negli “anni d’oro” del socialismo reale, in Urss, il governo si accorse che, nell’ambito degli obiettivi del piano quinquennale, mancavano diverse migliaia di ingegneri; così si provvide a farne laureare per corrispondenza un numero adeguato al fabbisogno. Da noi – in carenza, tra gli altri limiti, di un orientamento professionale appropriato e di strumenti efficaci di politiche attive del lavoro – non c’è allora da stupirsi dell’esistenza di un mismatch tra domanda e offerta che nel 2017 – secondo l’analisi condotta da Unioncamere in collaborazione con Anpal – è salito a oltre il 21% dei contratti totali contro il 12% dell’anno precedente. In sostanza, più si rafforza la ripresa economica e più diventa difficile sostenerla dal lato dell’offerta di lavoro. I numeri – come vedremo – sono importanti.
Certo, se anche il nostro Paese si mettesse miracolosamente in grado di non lasciare scoperto neppure un posto di lavoro “vacante” non avremmo risolto il problema della disoccupazione, in particolare giovanile e tanto meno avremmo prosciugato il bacino dei neet. Ma la questione del superamento del mismatch si pone con forza; anche se stenta a fare notizia in una società che preferisce piangersi addosso e scaricare le proprie responsabilità su altri. “Globalizzazione e digital transformation – con i cambiamenti introdotti nell’organizzazione dei processi produttivi e del lavoro – stanno poi radicalmente mutando – è scritto nel rapporto – le skills richieste ai lavoratori e stanno facendo emergere nuove professionalità”.
È arrivata al 27% la quota di imprese che, per contrastare l’obsolescenza delle professionalità, investe in formazione continua allo scopo di qualificare e aggiornare la manodopera. Nei programmi di assunzione per il 2017 erano previste nuove entrate nel 60% delle aziende (nel 72% di quelle esportatrici e nell’80% di quelle che fanno innovazione). Oltre un terzo dei contratti doveva essere destinato a giovani con meno di 30 anni e, per oltre il 46%, a laureati e a diplomati. Ma il mismatch tra domanda e offerta, è arrivato a interessare più di un posto di lavoro su cinque; il che non è legato soltanto a un problema quantitativo, ma soprattutto qualitativo, relativo cioè alla differenza tra le nuove competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori.
Le cause della difficoltà di reperimento sono da imputare principalmente alla mancanza di adeguata preparazione dei candidati (48%), oltreché a una loro carenza numerica (42%). I settori caratterizzati dalle maggiori difficoltà di reperimento riguardano il manifatturiero – maggiormente esposto alla concorrenza internazionale e dunque anche maggiormente ricettivo delle spinte innovative – e soprattutto quei comparti più direttamente coinvolti nella rivoluzione tecnologica: servizi informatici e meccanica registrano, infatti, una difficoltà di reperimento pari rispettivamente al 40,0% e al 38,8%.
L’analisi dei fabbisogni occupazionali per titolo di studio mostra, poi, come la difficoltà di reperimento sia massima nella “filiera” elettronica e riguardi tutti i livelli di istruzione (terziaria con il 55,4% di difficoltà di reperimento, secondaria con il 36,9% e diploma professionale con il 33,5%). La domanda delle imprese è rivolta alla ricerca di competenze trasversali (non solo tecniche, ma doti di abilità comunicativa, flessibilità, attitudine a lavorare in gruppo, capacità di risolvere i problemi che insorgono). Quasi il 30% delle figure per le quali tali competenze sono ritenute molto importanti è difficilmente reperibile. A ciò si aggiunge una richiesta molto diffusa e trasversale di competenze “green” (attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale).
In tali scenari verrebbe voglia di ricordare ai giovani le parole di Rita Levi Montalcini: “Rifiutate di accedere a una carriera solo perché vi assicura una pensione. La migliore pensione è il possesso di un cervello in piena attività che vi permetta di continuare a pensare ’usque ad finem’, ‘fino alla fine’”. Il fatto è che un tale contesto di sviluppo professionale e culturale occorrerebbe garantirlo alle giovani generazioni fornendo loro gli strumenti necessari, nella scuola e sul mercato del lavoro, perché possano coltivare i talenti di cui dispongono. Altrimenti non c’è da stupirsi se ambiscono a un impiego negli uffici del Catasto.