Pane, amore e fantasia. È lo slogan che proponiamo ai segretari dei partiti (oddio, partiti: è una parola grossa…) in lizza per le prossime elezioni politiche italiane. Sulla fantasia, penserete voi, c’è poco da dire, e da fare: con quel che si è sentito in questi giorni il vero gioiello nazionale, la nostra capacità di inventare sempre qualcosa davanti all’imprevisto, alla novità, ha dimostrato di poter brillare ancora. I suoi adepti si sono moltiplicati come si sono moltiplicate le proposte, alcune tanto serie da sembrare fuori luogo, altre tante bizzarre da parere serie.



Sull’amore, beh lì uno dei candidati in pectore (è il caso di dirlo) vanta piste di vantaggio sugli altri, cui suggeriamo di non insistere su questo tasto, se proprio non vogliono farsi asfaltare nelle urne. Silvio, perché è di lui come avrete intuito che stiamo parlando, nel settore ha competenze intergalattiche e non si perita di nasconderle.



Allora resta il pane, che è cosa seria, maledettamente seria. Perché senza pane non si vive: e anche a far dieta almeno una volta al giorno qualcosa si deve ingurgitare. E quel qualcosa costa, e tranne pochi che ce la fanno senza alzarsi al mattino e senza doverselo sudare, il resto degli italiani o lavora o cerca un lavoro. E dunque sul tema sono sensibili: perché lavorare è fatica, costa sudore, e i soldi non bastano mai; i figli, dove ci sono, hanno sempre bisogno; e poi non siamo proprio un popolo che si fa mancare nulla di quanto c’è al mondo di bello e di buono.

Allora parlare di pane significa parlare di salario mensile. E qui entrano in gioco l’amore e la fantasia. Perché se Salvini ha promesso di riaprire le case chiuse per far pagare le tasse alle lucciole (ne approfitto per chiedere al buon Matteo: dovranno versare, sia pure obtorto collo, al posto di chi oggi non paga le tasse o in aggiunta ai numerosi e variopinti furbetti?), dalla Lega ai CinqueStelle, tutti promettono di introdurre il salario minimo.



Che poi vai a capire cos’è sto salario minimo: perché in questa bellissima campagna elettorale, che ha fatto finalmente fiorire negli italiani il gusto per le barzellette e la satira, ognuno lo definisce a modo suo.

Prendiamo i Pentastellati: per loro ogni mese si deve versare a chi non ha reddito e non lavora un tot per consentirgli di tirare avanti. Encomiabile: poi bisogna spiegare a chi lavora che si dovranno alzare le tasse e la fiscalità (o si dovranno fare debiti, che poi è lo stesso, perché alla fine qualcuno dovrà pur pagare sto benedetto conto multimiliardario), ma è un dettaglio. Se invece parlerete con Salvini, beh quel contributo sarà per i pochi italiani, occhio: italiani, mica altra gente variamente dipinta direbbero dalle sue parti, che accetteranno di lavorare per il bene pubblico.

E il Pd? Lì la cosa si fa seria. Perché il Pd non vorrebbe mollare sulle promesse del M5S, e quindi rilancia: salario minimo sì, ma deciso da una commissione formata da imprenditori e lavoratori. Si entra quindi in un altro campo: non nel reddito minimo, ma nel salario minimo, cioè nel campo che fino a oggi era stato oggetto riservato (ci sarebbe anche la Costituzione, ma ultimamente è un dettaglio…) alla contrattazione tra sindacati e imprenditori.

Se non abbiamo mal compreso, una specie di commissione nella quale siederanno sindacati, politici e imprenditori, dovrà decidere quanto sarà il minimo orario per ogni lavoro. O forse il minimo orario per tutti i lavori. Beh, sono dettagli che si chiariranno man mano che la farsa, pardon, la proposta, andrà avanti. Eh sì, perché ce lo vedete un simile tavolo? Noi che qualche tavolo l’abbiamo pure frequentato sì.

Perché sindacati e imprenditori hanno chiaro in testa concetti come costo del lavoro, costo orario, diritti da garantire e costo degli stessi, fiscalità, o produttività. ma immaginiamo il politico di turno che (dopo aspra contesa, va da sé), si siederà a quel tavolo. Avrà in mente i suoi elettori, ma non vorrà scontentare gli imprenditori e nemmeno i sindacati. E dunque non potrà che giocare al rialzo, spingere perché il salario minimo sia il più alto possibile, anche a costo di fare qualche buco nei bilanci delle aziende: mica vorrà essere accusato, come succederà di sicuro, dai suoi avversari politici, anime malevole e cattive, di non aver portato a casa tutto il possibile per la gente? Così se i sindacati dicono 10, lui dirà 11. Se gli imprenditori diranno 8 lui farà di tutto per far loro cambiare idea. Come? Semplice, scaricando il conto sulla collettività. Tanto paga Pantalone, che è poi la Società. Cioè noi, cioè imprenditori e sindacati, lavoratori e datori di lavoro.

Splendida l’idea: far sparire la contrattazione tra i soggetti della società civile, togliere a sindacati e imprenditori quel che è proprio del loro mondo (o almeno così è sempre stato in Italia) e affidarlo invece a una commissione (un consiglio, se proprio volete fare questa sciocchezza, almeno non usate questo sostantivo: è inquietante), composta dagli stessi ma con dentro anche altri. Chi? Beh, i politici per forza, sennò che proposta sarebbe. E in aggiunta e nell’ordine noi consigliamo: i vescovi (e poi a seconda dei livelli a scendere fino al parroco e al sagrestano per i contratti aziendali); i responsabili dello sport (e anche qui a scendere fino al presidente della bocciofila locale); i gestori delle grandi cantine di vino (e giù giù fino al padrone del bar sport locale, che in ogni paese italiano che si rispetta è pur sempre una autorità).

Certo, appena sarà diramata la composizione partiranno le contestazioni: dai cultori dei birilli fino agli studiosi dei menischi dei millepiedi, ogni categoria asserirà di dover essere presente. Qui suggeriamo un metodo infallibile per scernere tra i molteplici candidati: si indicano delle belle elezioni generali dove gli italiani scelgano coloro che tratteranno il loro salario minimo.

Dite che proprio alle elezioni stiamo andando? E che la proposta sembrerebbe solo una coazione a ripetere, una sorta di vedere e rivedere per non vedere? Beh, in effetti. Ma a noi viene in mente solo questa proposta. Si certo, ci sarebbe anche l’alternativa, affidare tutto a un ometto coi baffi (no, tu D’Alema non c’entri. Quell’altro coi baffetti, quello austriaco…), e che scelga lui. Ma sia chiaro che noi non ci assumiamo alcuna responsabilità per i danni che costui farà! 

Torniamo dunque al salario minimo: alzi la mano chi di voi (di noi, meglio) pensa che un qualunque dossier, ma proprio uno a caso, possa essere gestito meglio dalla politica rispetto a quanto sta facendo la società civile. Ecco, ci ascoltino, e lascino stare lor signori, non si mischino in cose che altri hanno imparato a fare da tanto tempo. E che hanno fatto anche benino. Si limitino, dal M5S a Salvini, a creare le condizioni perché la ripresa, quel che si vede e che c’è, si consolidi, si fortifichi. 

Riflettano sui programmi scolastici che dovranno consentire ai nostri giovani di fare i nuovi lavori, lavori che oggi neanche sono pensabili ma che da qui a qualche mese già scoppieranno. Pensino a come creare un’Europa diversa, nuova, più dei cittadini e meno delle burocrazie. Ci dicano come pensano di creare posti di lavoro: se lo dicessero sarebbe già molto, ma se poi lo realizzassero sarebbero dei fuoriclasse. Lascino il resto a chi lo sa fare. Cioè alla società civile. Che poi, a ben vedere e a scartabellare tra i curricula diffusi da loro stessi, in molti tra i candidati han già dimostrato di saperci fare: nel senso che se fossero eletti loro un posto di lavoro se lo sarebbero pure creato!

Va beh, direte voi, allora niente commissione salario minimo. Ma come noi vi interrogherete davanti a un silenzio, un silenzio che inquieta e sconvolge: Silvio, cosa ne pensa? Nessun problema: ha già detto che lui paga. Tutti e tutte. Ma, una vocina maligna ci insinua, non sarà che ha sbagliato capitolo e sta ancora pensando all’amore?

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