Il mercato del lavoro è attraversato da cambiamenti straordinari, indotti dalle innovazioni tecnologiche, e nei prossimi anni sarà sempre più mutevole. Oggi, per molte professioni, è sempre più rilevante la richiesta di competenze digitali: utilizzo del web, applicazioni informatiche per la gestione dei processi aziendali, conoscenza di linguaggi di programmazione, gestione e analisi di social media, algoritmi di intelligenza artificiale e big data, l’analisi di grandi volumi di dati.
Negli ultimi quattro anni abbiamo raccolto e analizzato oltre 2,5 milioni di annunci di lavoro, riferiti all’intero territorio italiano, che le aziende effettuano tramite il web. I cambiamenti in atto sono più che evidenti: le competenze digitali hanno un’incidenza del 18% per le professioni operative (per esempio, addetti allo spostamento merci), valgono circa il 30% per i contabili fino a sfiorare quota 35 e 38% per le professioni del marketing e della comunicazione.
Nel contempo si osserva la nascita di nuove professioni, legate in particolare alle aree dei big data, dove è richiesta la capacità di trattare e analizzare grandi volumi di dati per supportare la conoscenza dei fenomeni e i processi decisionali; dei social media, che prevedono la richiesta di nuove professionalità per le funzioni del marketing; della sicurezza informatica, attraverso la professione del cybersecurity specialist; infine, di quella che viene chiamata l’Internet delle cose (IoT), che richiede professionalità capaci di gestione, trattamento e analisi di dati derivanti dall’installazione di sensori e attuatori intelligenti. Sono alcuni esempi di cambiamenti legati allo sviluppo dell’Industria 4.0 e delle innovazioni che stanno trasformando il mondo dei servizi e, più in generale, di tutti i settori economici.
Sulle nuove professioni – il data scientist, l’analista di cloud computing, il cybersecurity expert, il business intelligence analyst, il big data analyst e il social media marketing, solo per citare le principali – aleggia una domanda cruciale: sono mode temporanee o reali esigenze delle aziende?
Abbiamo voluto approfondire il fenomeno andando a osservare “i modi di dire” utilizzati dalle imprese e le competenze richieste per capire se si tratta realmente di nuove professioni o di “semplici” cambiamenti lessicali, legati alla moda del digitale. E il risultato è sempre più chiaro: sono professioni nuove che richiedono competenze metodologiche, tecniche innovative e multidisciplinari, nonchè un approccio spiccatamente creativo e proattivo (emerge, infatti, una forte attenzione delle aziende alle cosiddette soft o non cognitive skills). Per dare un’evidenza quantitativa del fenomeno, se nel 2013 la richiesta era di poche decine di unità a livello nazionale, l’anno scorso si è arrivati a circa 8.000 unità, con un tasso di crescita pari a circa il 300%.
A livello settoriale, le richieste di queste nuove professioni sono concentrate nelle aziende di servizi di consulenza informatica e di telecomunicazione (circa il 50%), in quelle che si occupano di pubblicità e ricerche di mercato (26%) e nelle attività manifatturiere (14%); il resto, in quote percentuali minori, negli altri settori economici.
Dal punto di vista territoriale, invece, la concentrazione maggiore si registra in Lombardia (oltre il 42%), nel Lazio (16%), seguono Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana con valori tra il 5 e il 10%, e al Sud solo Campania e Puglia con valori decisamente più contenuti (2-3%).
Di fronte a questo fenomeno diverse università del nostro Paese hanno avviato master e/o lauree magistrali per formare queste nuove professionalità e offrire così una risposta alle richieste sempre più crescenti delle imprese. L’Università di Milano Bicocca, tra le prime, ha attivato nel 2011 un master in Business intelligence & Big data analytics, arrivato alla settima edizione, e nel 2017 è stata inaugurata una laurea magistrale in Data science. Sullo stesso tema un corso di laurea è stato avviato dall’Università La Sapienza di Roma e da quest’anno anche a Padova; la Luiss di Roma, ha un master in Big data management, le università di Pisa, di Bologna, di Torino, il Politecnico di Milano e recentemente anche la Statale di Milano hanno attivi, o stanno avviando, master per formare scienziati dei dati; l’Università Ca’ Foscari di Venezia ha appena lanciato una laurea triennale in digital management; l’Università Federico II di Napoli, dallo scorso anno, ha istituito presso la facoltà di Ingegneria meccanica, un percorso ad hoc in Advanced manufacturing, strettamente legato a Industry 4.0.
Sta, dunque, emergendo un’importante risposta con iniziative formative, master e lauree magistrali che le università hanno avviato o stanno avviando per la creazione di nuove figure professionali, il cui obiettivo è riuscire a supportare, con competenze adeguate, le sfide poste dalla digitalizzazione. E’, però, altrettanto evidente che per affrontare queste sfide anche le aziende, in particolare il management delle stesse, devono avviare un percorso di cambiamento, così da poter sviluppare nuovi approcci focalizzati sulla valorizzazione dei dati, e delle nuove figure professionali a esso legate, a supporto dei processi sia operativi sia decisionali. Questa è una partita da giocare e da vincere.