Recentemente è stata diffusa la prima edizione del Rapporto annuale sul mercato del lavoro. L’elaborazione dei dati è stata coordinata da un accordo fra ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. Si è giunti così a produrre un’analisi delle dinamiche del mercato del lavoro sulla base di un sistema informativo statistico condiviso. L’utilità di uno strumento unico per chi si occupa del mercato del lavoro sia per attività scientifica, sia come policy makers, è fuori discussione. Si mette inoltre fine al lancio di notizie gonfiate, frutto di basi statistiche diverse che hanno prodotto una notevole mole di articoli giornalistici finalizzati solo a creare disinformazione e allarmismi. Il primo rapporto arriva invece dopo un periodo di indicatori positivi e, grazie alla completezza dei dati oltre all’assenza di possibili allarmismi, è passato quasi inosservato.
I dati complessivi indicano che gli indicatori occupazionali stanno tornando ai livelli pre-crisi. Entrando nel dettaglio si possono però rilevare ancora punti di forza e di debolezza del sistema economico. L’occupazione complessiva continua a crescere sia rispetto al trimestre precedente che su base annua (+303.000 occupati rispetto al 2016). Il tasso di occupazione complessivo raggiunge il 57,8% restando di solo un punto sotto il livello massimo raggiunto nel 2008 e proseguendo un incremento costante da oltre 24 mesi. Cresce il lavoro dipendente mentre rimane in calo l’occupazione autonoma e della Pubblica amministrazione. Il tasso di disoccupazione scende all’11,2%. Un livello ancora alto rispetto ai periodi pre-crisi, ma sostenuto, nell’ultimo anno, da una diminuzione del tasso di inattività che segnala una riatttivazione significativa dell’offerta di lavoro.
Dal punto di vista contrattuale crescono i contratti di lavoro a termine e restano stabili i contratti a tempo indeterminato. Il dato è probabilmente influenzato dall’annuncio di una significativa decontribuzione per le nuove assunzioni a tempo indeterminato inserita nella Legge di bilancio e che sarà operativa con l’inizio del 2018. Le assunzioni sono soprattutto a tempo pieno. Il part-time rimane fermo al 18% e la quota del part-time involontario scende di un punto perdendo la caratteristica di contratto salva-occupazione. Il monte ore lavorato cresce del 2,4%, un punto sopra il Pil. Ciò indica un calo significativo del ricorso alla Cig, ma anche un perdurare del ritardo con cui il sistema produttivo arriva a recuperare in produttività.
La prospettiva per il prossimo anno che emerge da questi dati è una prosecuzione della crescita occupazionale. Il dato dei posti vacanti è indicatore anti-ciclico per le prospettive di lavoro. I posti vacanti sono all’1% (+0,2% nell’ultimo trimestre) e indicano una ripresa della domanda di lavoro che proseguirà nei prossimi mesi.
Tutti i segnali positivi non cancellano ancora i problemi di sistema che la crisi di questi anni ha accentuato. La disoccupazione giovanile e femminile sono ancora a tassi molto marcati. Anche i mercati del lavoro regionali scontano forti differenze dovute a ragioni storiche (il differenziale nord-sud è rimasto significativo), ma anche scelte di politiche regionali (si veda il confronto fra la crescita del Pil campano rispetto ai risultati delle scelte anti-industriali della Puglia).
Restano quindi forti sacche di disagio a caratterizzare il mercato del lavoro del nostro Paese. Tali gruppi sociali richiedono certo politiche di sviluppo e di crescita economica per assicurare nuova occupazione. Ma la risposta di sistema non può che riguardare un grande piano per la crescita degli investimenti in capitale umano. La sfida per l’impresa 4.0 richiede un grande investimento per una occupazione 4.0 fatta di basi formative forti e di una formazione continua durante la vita lavorativa. Ogni indagine indica che non vi sarà più un lavoro a vita, ma una vita caratterizzata da lavori diversi. Solo un capitale umano formato e in continua formazione sarà tutelato pienamente nella trasformazione economica in atto.