Dopo aver messo i “famigerati” voucher in condizione di non nuocere, la lotta al precariato (che è poi lotta al lavoro tout court) ha preso di mira il contratto a termine che è divenuto, così, il nuovo nemico pubblico numero 1. Nella Legge di bilancio per l’anno in corso vi è stato il tentativo – per fortuna sventato dal Governo – di manomettere il decreto Poletti – che ha liberalizzato questo istituto, sottraendolo alla trappola del “causalone” – con un emendamento che riduceva a 24 i mesi di durata e a 3 le possibili proroghe. In sostanza, sarebbe stato come ridurre la gradazione di un termometro (portandola da 41° a 38°) allo scopo di combattere gli stati febbrili troppo elevati.
Il contratto a termine, nonostante il suo maggior costo per il datore rispetto ad altre tipologie, continua a essere la modalità di assunzione più usata persino quando gli incentivi premiavano – per oltre 8mila euro l’anno ripetuti per un triennio – le assunzioni a tempo indeterminato, comprese quelle di nuovo conio introdotte dal Jobs Act (dlgs n.23/2015). Attualmente – dopo che le misure che hanno reso inutile l’uso dei voucher – i contratti a termine sono stati sospinti, nella pratica quotidiana, a coprire – sia pure a fatica – lo spazio lasciato libero dai buoni lavoro. Secondo l’Osservatorio sul precariato a cura dell’Inps, nei primi nove mesi del 2017, nel settore privato si è registrato un saldo tra assunzioni e cessazioni pari a +741.000, superiore a quello del corrispondente periodo sia del 2016 (+516.000) che del 2015 (+658.000). Quanto alla dinamica dei flussi è aumentato il turnover dei posti di lavoro grazie soprattutto alla forte crescita delle assunzioni (tra gennaio e settembre 2017 sono risultate 5.271.000, in aumento del 20,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Sono cresciute anche le cessazioni (4.530.000, +16,9% rispetto all’anno precedente), ma a un ritmo inferiore.
Alla crescita delle assunzioni il maggior contributo è stato dato dai contratti a tempo determinato (+27,3%) e dall’apprendistato (+26,9%), mentre sono diminuite le assunzioni a tempo indeterminato (-3,5%: contrazione interamente imputabile alle assunzioni a part-time). Tra le assunzioni a tempo determinato appare significativo l’incremento dei contratti di somministrazione (+20,1%) e ancora di più quello dei contratti di lavoro a chiamata che, con riferimento sempre all’arco temporale gennaio-settembre, sono passati da 137.000 (2016) a 319.000 (2017), con un incremento del 133,2%. Questo significativo aumento – come, in parte, anche quello dei contratti di somministrazione e dei contratti a termine – può essere posto in relazione – è lo stesso Inps a riconoscerlo – alla necessità per le imprese di ricorrere a strumenti contrattuali sostitutivi dei voucher, cancellati dal legislatore a partire dalla metà dello scorso mese di marzo e sostituiti, da luglio e solo per le imprese con meno di 6 dipendenti, dai nuovi contratti di prestazione occasionale. Questi andamenti convergono nella compressione dell’incidenza dei contratti a tempo indeterminato sul totale delle assunzioni: 24% nei primi nove mesi del 2017, mentre nel 2015, quando era in vigore l’esonero contributivo triennale per i contratti a tempo indeterminato, era stato raggiunto il valore di 38,3%.
Le trasformazioni complessive – includendo accanto a quelle da tempo determinato a tempo indeterminato anche le prosecuzioni a tempo indeterminato degli apprendisti – sono risultate 272.000, in lieve incremento rispetto allo stesso periodo del 2016 (+0,9%). Per le cessazioni, la crescita è dovuta principalmente ai rapporti a termine (+25,3%), mentre le cessazioni di rapporti a tempo indeterminato risultano sostanzialmente stabili (+0,1%). Tra le cause di cessazione, i licenziamenti riferiti a rapporti di lavoro a tempo indeterminato risultano pari a 435.000, in riduzione rispetto al corrispondente periodo di gennaio-settembre 2016 (-5,4%), mentre in aumento risultano le dimissioni (+5,8%). Il tasso di licenziamento, calcolato sull’occupazione a tempo indeterminato, compresi gli apprendisti, è risultato per i primi nove mesi del 2017 pari al 3,9%, in linea con quello registrato per lo stesso periodo del 2016 (4,0%).
Fino a qui la fotografia dei trend delle attivazioni e delle cessazioni. È interessante far notare come l’incremento dei contratti a termini sia accompagnato da un andamento in crescita dei contratti di somministrazione e di un ritorno alla valorizzazione dell’apprendistato che, ai tempi del superbonus, avevano subito una significativa “cannibalizzazione”. Una ricostruzione approfondita dei cosiddetti rapporti brevi (RB) è compiuta dal recente Rapporto sul mercato del lavoro (a cura del Ministero, dell’Istat, dell’Inps, dell’Inail e dell’Anpal) per il periodo 2012-2016 sia per ciascun anno che per l’intero periodo, distinguendo altresì le singole tipologie contrattuali.
Il numero di lavoratori coinvolti in RB – in almeno una delle diverse tipologie – si aggirava attorno ai 3 milioni nel 2012; è sceso al di sotto di tale valore nel 2013 e poi risalito arrivando nel 2016 a circa 4 milioni. Questa dinamica riflette, oltre che l’andamento ciclico e le dinamiche congiunturali dell’economia, i cambiamenti nella regolazione: la contrazione progressiva di intermittenti e collaborazioni si lega alle indicazioni restrittive della legge n. 92/2012 (la riforma Fornero del mercato del lavoro) come pure alla “concorrenza” attivata dai voucher (a partire dalla medesima legge citata) e alle facilitazioni introdotte nel 2014 per i rapporti di lavoro a tempo determinato (decreto Poletti).
La principale tipologia contrattuale con cui i RB vengono regolati resta sempre quella del contratto a termine, la cui consistenza è stata in crescita fino a quasi 1,8 milioni nel 2016. Nel 2016 i voucher avevano interessato un numero di lavoratori paragonabile a quello dei contratti a termine brevi: effetto di una crescita rapidissima (erano “solo” 365 mila nel 2012). ma anche culmine di una parabola drasticamente chiusa nel 2017, il cui epilogo sta determinando una forte ricomposizione delle tipologie contrattuali che assorbono i RB. I dati già disponibili per i primi tre trimestri del 2017 attestano – oltre che il ritorno alla crescita del lavoro intermittente – l’accelerazione dei tassi d’incremento dei rapporti a tempo determinato (incluso stagionali) e di somministrazione.
Le posizioni relative ai lavoratori in somministrazione sono complessivamente aumentate sin dai primi mesi della ripresa: tra il primo trimestre 2016 e il secondo trimestre 2017 si è registrata una straordinaria accelerazione, che ha portato a un aumento di gran lunga superiore a quello relativo al totale di industria e servizi (+50,7% a fronte di +5,5%). Ed è questo un segnale positivo perché il contratto di somministrazione è certamente una forma moderna e di maggiore tutela per i lavoratori, in grado di consentire alle aziende di fare fronte ai picchi di produzione.