Agosto da record? L’Istat ha reso note le statistiche sull’occupazione. Il tasso di disoccupazione scende al di sotto del 10%, mentre quello di occupazione raggiunge il 59%, come non avveniva dal lontano 1977. Su base annua, ad agosto, l’occupazione cresce dell’1,4%, pari a +312 mila unità. L’espansione interessa uomini e donne e si concentra fortemente tra i lavoratori a termine (+351 mila); in lieve ripresa anche gli indipendenti (+11 mila), mentre calano i dipendenti permanenti (-49 mila). Nell’anno, aumentano gli occupati ultracinquantenni (+393 mila), mentre calano nelle altre classi d’età. Al netto della componente demografica si stima comunque un segno positivo per l’occupazione in tutte le classi di età.
Nei dodici mesi, a fronte della crescita degli occupati si stima un forte calo dei disoccupati (-14,8%, pari a -438 mila) e un lieve aumento degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,3%, +37 mila). Ancora critici i dati della disoccupazione giovanile (per la coorte 15-24 anni), il cui tasso ritorna sopra il 30%. È un risultato che entra in contraddizione con l’andamento dell’unico programma nazionale ed europeo di politiche attive rivolto a favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Nel rapporto periodico dell’Anpal emerge, infatti, che sono oltre 1,3 milioni i giovani registrati al Programma Garanzia Giovani, al netto di tutte le cancellazioni di ufficio.
Rispetto ai registrati, quelli “presi in carico” da parte dei servizi competenti sono pari al 77,6%. L’81,8% di costoro sono giovani con una maggiore difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro (profiling medio-alto e alto). Il numero di utenti che è stato preso in carico dai Centri per l’impiego è nettamente più elevato rispetto a quanto registrato per le Agenzie per il lavoro (rispettivamente 78,9% e 21,1%); ma nelle Regioni del Nord-Ovest questa distribuzione si inverte: il 21,9% dei giovani è stato preso in carico dai Centri per l’impiego contro il 78,1% delle Agenzie per il lavoro.
Per quanto riguarda l’attuazione, il 55,1% dei giovani presi in carico dai servizi è stato avviato a un intervento di politica attiva. Il 58,9% delle azioni è rappresentato da esperienze di tirocinio extra-curriculare. Seguono gli incentivi occupazionali con il 23,7%. La formazione è il terzo percorso più diffuso. Di questo programma andrebbe tenuto conto anche nei progetti del nuovo Governo, il quale vorrebbe affidare alla gracile gestione dei Centri per l’impiego la gestione di quelle iniziative in grado di garantire che il reddito di cittadinanza non si traduca in una banale prestazione assistenziale (come è assai probabile), ma in uno strumento di politica attiva (come si vorrebbe che fosse, con tante velleità).
Sul versante opposto a quello dell’occupazione giovanile merita una particolare attenzione il trend in continua crescita dell’impiego delle coorti più anziane. Sappiamo – anche se non viene mai sottolineato a sufficienza – che i dati vengono condizionati dalla base demografica a cui si riferiscono: il che è vero sia per la conclamata disoccupazione giovanile che per la permanenza al lavoro degli ultra50enni. Il primo fenomeno subisce gli effetti di una contrazione crescente della relativa popolazione di supporto, diversamente da quelli espansivi sui quali poggia il secondo. Ma il numero, prossimo alle 400mila unità, di incremento su base annua dei lavoratori over50 non può essere attribuito soltanto alla riforma delle pensioni del 2011 (che non ha affatto ridotto il numero dei trattamenti anticipati soprattutto nel lavoro dipendente), ma all’esigenza, sul lato dell’offerta, di una domanda di lavoro che, soprattutto nelle regioni settentrionali, non troverebbe altrimenti risposta.
In parole povere – anche se politicamente scorrette – se nelle regioni che si affacciano sulla Valle Padana non lavorassero gli anziani, le aziende avrebbero dei seri problemi di organici. Ecco perché bisognerebbe riflettere prima di promuovere – con quota 100 e quota 41 – un esodo massiccio proprio dalle aziende del Nord (la pensione di anzianità – per le note ragioni ribadite più volte – è una peculiarità della forza di lavoro maschile e settentrionale). Se, come confermano le stime, queste misure dovessero comportare un incremento dei pensionamenti anticipati di 400mila unità l’anno, non ci sarebbe solo un problema di maggiori oneri a carico delle generazioni future, ma il mercato del lavoro non sarebbe in grado di compensare le uscite di anziani con ingressi adeguati di giovani, per una banale contabilità di ordine demografico. A questo punto solo l’arrivo di altri stranieri potrebbe pareggiare il conto. Sempre che essi continuassero a venire nel nostro Paese nelle quote previste per preservare l’equilibrio del sistema.