Dai primi anni dopo l’unità d’Italia, si è introdotto il principio di condizionalità nella legislazione che regola il mercato del lavoro. Il principio è abbastanza banale: in cambio di un sostegno al reddito assicurato dallo Stato, il disoccupato si impegna a svolgere determinate attività; il proseguimento del pagamento delle indennità è condizionato dal rispetto degli impegni. Dalle prime semplici operazioni di gestione della disoccupazione alle attuali regole che armonizzano i rapporti fra politiche passive e politiche attive del lavoro sono passati molte definizioni e molte disposizioni per regolare la famosa condizionalità.



Se appare semplice affermare che di fronte al rifiuto di accettare un nuovo posto di lavoro si perde anche il diritto all’indennità di disoccupazione, la definizione precisa porta a cercare di circoscrivere quale proposta non è rifiutabile. Differenza di reddito rispetto alla condizione lavorativa precedente, distanza fra sede lavorativa e sede di residenza, ecc., sono tutte ragioni che, una volta definite, portano a possibili condizioni di rifiuto dell’offerta di lavoro senza conseguenze sui pagamenti delle indennità.



Nell’ambito del Jobs Act un capitolo specifico riguardava esplicitamente gli ammortizzatori sociali, strumenti di politica passiva con i sostegni al reddito e le regole condizionanti per il passaggio nelle politiche attive del lavoro. La manovra era tesa a una semplificazione ed estensione degli strumenti esistenti. Gli ammortizzatori sociali esistenti, con il permanere dello stato disoccupazione dei lavoratori coinvolti, avevano determinato un dualismo nelle tutele dei lavoratori di fronte alle crisi. Solo alcuni godevano, fra cassa integrazione ordinaria e straordinaria, passando per periodi di mobilità, di tutele del reddito alto, prorogabili nel tempo e senza stringenti interventi di politiche attive per una ricollocazione.



Le nuove norme hanno ristretto i campi di applicazione degli ammortizzatori che non intaccano lo stato di occupazione, limiti per cassa integrazione e mobilità. Hanno ridefinito il sostegno al reddito alzando in rapporto al salario precedente le quote per tutti i disoccupati e hanno esteso la platea di lavoratori coinvolti. Quindi meno finti occupati (i tanti lavoratori in Cig di imprese che non avrebbero mai più riaperto), un’indennità per disoccupazione estesa e di maggiore valore economico per 24 mesi, ma in cambio un impegno stringente a entrare in un programma di politiche attive per trovare una nuova occupazione.

Fino alle regole precedenti, il disoccupato che faceva rilevare al Centro per l’impiego il suo stato di disoccupazione doveva sottoscrivere una dichiarazione di disponibilità alla ricerca di un altro lavoro. La condizionalità era così assolta. Con le nuove norme le politiche attive del lavoro diventano parte integrante dello stato di disoccupazione. La semplice dichiarazione diventa un impegno contrattuale a eseguire quanto stabilito in un piano di attività personalizzato, definito da agenzia per l’impiego, pubblica o privata, per favorire in tempo breve un reinserimento lavorativo. La ricollocazione diventa quindi centrale nel nuovo schema di condizionalità fra reddito garantito e impegno a trovare un nuovo lavoro.

I nuovi servizi per le politiche attive sono però in ritardo e alcune grandi crisi, ancora regolate con i vecchi ammortizzatori sociali, erano in scadenza. Il nuovo Governo aveva di fronte la possibilità di accelerare sui servizi, pur garantendo il sostegno ai redditi dei lavoratori coinvolti, oppure di ritornare ai finti occupati e alla vecchia condizionalità che era solo formale e non aveva conseguenze pratiche. Con purtroppo l’accordo di tutte le forze sindacali che, in nome dell’emergenza hanno puntato solo sul ritorno al passato, si è deciso di inserire nelle righe del Def un ritorno ai vecchi ammortizzatori sociali. Così torna in auge la Cig, ordinaria e straordinaria, o la mobilità. Alle grandi imprese vengono aggiunte medie e piccole imprese allargando così la platea di lavoratori coinvolti.

Già il reddito di cittadinanza si presenta come una politica sociale passiva, reddito apparentemente condizionato, ma non mette in moto nessuna iniziativa strutturata per dare lavoro. A ciò si tornano ad affiancare ammortizzatori sociali che tengono fittiziamente occupati i lavoratori di aziende che non ripartiranno più con tutti gli occupati di prima. Invece di favorire formazione 4.0 e servizi di ricollocazione 4.0, Governo e sindacati hanno portato indietro le lancette degli orologi per una gestione delle crisi e del mercato del lavoro alla pura politica passiva rinviando ancora l’avvio di un sistema moderno di servizi per la ricollocazione.