Il coworking non è certo una novità, sono ormai anni che ne parliamo in Italia, e pensate che a San Francisco è già a partire dal 2005 che è stato adottato come modello lavorativo: il primo fu Brad Neuberg il quale, partendo da un vecchio loft abbandonato, organizzò uno spazio ad hoc dove le persone potessero lavorare liberamente, accedendo alle stesse strutture e alle stesse risorse. Da allora la diffusione divenne inarrestabile. Nella maggior parte dei casi chi fa coworking è gente che ha la possibilità di lavorare da remoto, con pochi strumenti del mestiere, da trasportare facilmente in un pratico zaino.



Il concetto di coworking però negli anni è cambiato, evolvendosi insieme ai suoi fruitori, che non solo hanno ripensato gli strumenti necessari a svolgere la loro attività, basti pensare alla miriade di nuove tecnologie a disposizione, ma che soprattutto portano con sé anche un ricco bagaglio culturale ed esperienziale che non vede l’ora di essere aperto per mostrarsi al mondo. Il termine coworking cessa in questo modo di identificare un mero edificio con dentro persone che lavorano autonomamente alla loro postazione e si veste del suo significato letterale, “lavoro condiviso”. Lo spazio si reinventa e si trasforma nella concreta e stimolante opportunità di incontrare e interagire con persone con le quali poter scambiare punti di vista, conoscenze, idee, valori; persone con le quali poter condividere progetti, instaurare collaborazioni, creare sinergie. Il risultato? La creazione di una vera e propria comunità dove ci si riconosce e ci si sente riconosciuti.



Una delle principali realtà estere che ha visto nel coworking uno strumento per incrementare la collaborazione e la connessione tra individui è sicuramente WeWork, la start-up americana che vanta oggi più di 250.000 membri sparsi in tutto il mondo. Garantendo aree dinamiche e i migliori benefits e servizi, WeWork offre posti di lavoro dove si respira creatività e si è incoraggiati a produrre qualcosa di significativo. Per non parlare dei numerosi eventi organizzati, parte integrante della vision adottata, pensati per rafforzare ancora di più la team culture e per accrescere le opportunità di business, grazie all’incontro con persone autorevoli.



Dal lancio nel 2010 a New York City, questa realtà si sta espandendo costantemente e in sette anni ha raggiunto il cosiddetto status di decacorn: una start-up del valore di oltre 10 miliardi di dollari. E pensare che tutto è nato quando Adam Neumann, Ceo di WeWork e nel 2008 proprietario di una società di abbigliamento per bambini, e Miguel McKelvey, Co-founder di WeWork, che al tempo lavorava come architetto nello stesso edificio, decisero insieme di sfruttare le aree rimaste inoccupate e creare il loro primo coworking… Mica male, no?

E adesso vi starete chiedendo: “e tu che cosa hai fatto?” Convinto che, di fronte all’evoluzione inarrestabile del mondo e al continuo cambiamento delle tecnologie, è solamente grazie alla contaminazione che le innovazioni vedono la luce e le tecnologie stesse vengono modificate, ho creato un’associazione culturale dal nome Xfactory. Alla Xfactory organizziamo eventi, mostre, incontri, conferenze sui principali temi della cultura digitale, offriamo spazi dove incontrarsi per scambiare informazioni e idee, apriamo le porte a professionisti che possano portare una ventata di novità e stimoli e perché no, interessanti opportunità lavorative. Insomma, è un luogo pensato per essere la culla di idee e innovazione, una finestra spalancata sull’adiacente possibile: quello che c’è, che esiste ma che, per tantissime ragioni, non riesci ancora a vedere. Ecco, qui puoi.

Un ultimo pensiero, che formulo sotto forma di domanda sul futuro. I coworking, visti come quei luoghi di aggregazione di cui vi ho parlato, hanno nell’aggregazione stessa “il braccio” per l’innovazione e per ampliare le proprie possibilità di business. E quindi, non sarebbe un guadagno per tutti se diventassero una realtà abbracciata da ogni nostra azienda? A noi la riflessione.