In questi giorni si parla molto di reddito di cittadinanza e della necessità, in questo nuovo quadro, di potenziare il sistema dei Centri per l’impiego e, più in generale, dei servizi per il lavoro nel nostro Paese. Interessante notare come, negli stessi giorni, la odiata/amata Unione europea lanci una consultazione pubblica proprio sulla rete europea di servizi pubblici per l’impiego. Le risposte che perverranno saranno pubblicate, quindi, dalla Commissione e confluiranno in una relazione di sintesi dopo la chiusura della consultazione prevista per il prossimo 13 dicembre.



La consultazione è aperta a un’ampia gamma di soggetti a vario titolo coinvolti a partire dai singoli cittadini, a titolo personale o professionale, per passare dal mondo accademico, dalle organizzazioni della società civile, e del terzo settore, che lavorano nell’ambito dei servizi per l’occupazione, dalle parti sociali, per finire, ovviamente, con i fornitori di servizi per l’impiego e di servizi sociali e con le autorità pubbliche nazionali, regionali o locali competenti.



Le opinioni raccolte tramite il questionario riguardano l’attuazione delle misure, ciò che ha funzionato e ciò che si può migliorare per una proficua cooperazione tra la rete dei servizi per l’impiego europei dopo il 2020, e il ruolo dell’Unione europea nel quadro di tale futura, e auspicabilmente più efficace, cooperazione.

Il fine primario di questo momento di ascolto è quello di valutare la pertinenza, l’efficacia, l’efficienza, la coerenza e il valore aggiunto per l’Unione europea della rete europea dei servizi per il lavoro. Sarà sicuramente interessante capire quale sarà, o potrà essere, il contributo italiano a questo dibattito su di un tema cruciale per il contratto di governo dell’esecutivo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte. Allo stesso tempo, e nella stessa prospettiva, sarà certamente utile leggere anche i contributi che i paesi europei ritenuti all’avanguardia in questo campo daranno alla discussione. Studiare, e comprendere a fondo, le cosiddette “best practices” è, infatti, un’operazione sempre utile da fare quando ci si accinge a mettere in campo una riforma che, per definizione, è sempre appellata come storica dalla maggioranza che l’approva.



Il rischio che corriamo, tuttavia, come spesso accaduto in passato, è che ci si innamori di modelli, probabilmente efficaci nei contesti in cui si sono sviluppati, ma che, con troppa leggerezza, si prova a replicare pedissequamente, senza analizzare adeguatamente le fisiologiche differenze in termini economici, istituzionali, culturali, ecc., in Italia senza raggiungere gli obiettivi immaginati e auspicati. Perché il sistema funzioni, infatti, non basta copiare bene uno schema che, altrove, ha dato risultati, ma saperlo adattare sapientemente alle esigenze del nostro, ancora in transizione, mercato del lavoro.