LA CRITICA DI BRAMBILLA
Alberto Brambilla non è certo tenero nei confronti della riforma delle pensioni che il Governo si appresta a varare, nonostante abbia contribuito a stilare il programma della Lega sul tema. “L’Italia non ha bisogno di altra assistenza e di altra spesa sociale. Se mandiamo in pensione 300mila persone in più in un anno il sistema non regge. Però la gente pensa all’immediato. E chi governa pensa alle prossime elezioni”, sono le sue parole riportate da Il Giornale. Il Presidente del Centro studi Itinerari previdenziali evidenzia anche che “non esiste uno straccio di studio che dica che per un lavoratore che va in pensione venga assunto un giovane. Anzi è probabile che le aziende approfittino dei nuovi limiti pensionabili per alleggerirsi di questo peso, senza rimpiazzarli con nessuno”, “avremmo bisogno non di uno ma di tre neo assunti per compensare il costo della nuova pensione erogata dall’Inps”.
DURIGON (LEGA): “SOLO QUOTA 100 SECCA”
Intervistato dal Sole 24 ore il sottosegretario al Ministero del Lavoro, il leghista Claudio Durigon, “spegne” i sogni di chi pensava che la Quota 41 potesse partire già con l’imminente Manovra Economica. «Per il 2019 si andrà avanti solo ed unicamente con la quota 100 secca, nessun ripensamento sulla Quota 41 per precoci e quarantunisti, la misura insieme alla Quota 100, già in cantiere, farebbe lievitare troppo i costi», spiega l’onorevole della Lega che dunque, al momento, rinvia la possibilità di andare in pensione per tutti i lavoratori che hanno già alle spalle 41 anni di contributi versati. «L’obiettivo del Governo è quello di iniziare a smontare la Riforma Fornero, mandando in pensione circa 400 mila persone e per farlo si procederà con la quota 100 secca, unica misura che potrà, con le risorse a disposizione ora, garantire il ricambio generazionale a lungo atteso», conclude Durigon. (agg. di Niccolò Magnani)
SINDACATI, “NO PENALITÀ PER CHI ESCE PRIMA”
Secondo la Cgil il «continuo stillicidio di promesse e ipotesi su un possibile intervento di revisione della Legge Fornero», è un dato piuttosto allarmante: la nota del sindacato di Corso d’Italia guarda con timore alla Manovra del Governo mette in discussione quel presunto “divieto di cumulo” che Di Maio e i tecnici sta pensando di adottare nella revisione pensionistica. Non solo, è necessario che non si penalizzino i lavoratori più deboli e “singoli”, dunque non cancellando l’Ape sociale: «Sarebbe inaccettabile che la nuova flessibilità eliminasse quei pochi vantaggi che sono stati portati a casa con il verbale del settembre 2016. La Cgil chiede poi misure per le future pensioni dei giovani penalizzati dal sistema contributivo a causa di carriere frammentarie e di affrontare il problema della disparità di genere garantendo una contribuzione figurativa per i lavori di cura familiare». (agg. di Niccolò Magnani)
“FISSI” I 38 ANNI DI CONTRIBUTI NELLA QUOTA 100
Come ormai è chiaro dalla lettura del Def, la “rivoluzione” del Governo gialloverde sul tema pensioni prevede dei paletti alquanto rigidi: da un lato il cumulo vietato, come proviamo a spiegare qui sotto, dall’altro l’elemento reso fisso nella Quota 100. Si tratta dei contributi che dovranno sempre essere dai 38 anni in su: «Chi ha 63 anni dovrà comunque garantire i 38 anni di contributi e, dunque, la quota salirà a 101, e così via», spiega il focus del Messaggero sui conti della riforma pensionistica inserita nella prossima Manovra Economica. Resta invece in vigore il pensionamento di vecchiaia a 67 anni e 10 mesi: secondo quanto anticipato dai tecnici del Ministero del Lavoro, per chi avrà questo requisito (o per chi arriverà alla contribuzione massima, 42 anni e 10 mesi) non dovrebbero esserci divieti di cumulo come per gli altri pensionati. (agg. di Niccolò Magnani)
DIVIETO DI LAVORO DOPO I 62 ANNI
Allo studio del Governo, parallelamente alla “scelta” di Quota 100 e Quota 41 eventualmente assieme, vi è un altro capitolo assi importante e altamente ricercato dagli stessi futuri pensionati: a chi lascerà il lavoro a 62 anni sfruttando la nuova Quota 100, potrebbe essere del tutto vietato intraprendere attività autonome o anche da dipendente per “arrotondare” l’assegno di pensione. Il divieto di cumulo ancora non è stato deciso se renderlo “assoluto” nella imminente riforma della legge Fornero, o se invece vi sarà una sorta di meccanismo di penalizzazione del lavoro svolto dal pensionato come già di fatto esistenza anche nel recente passato. Secondo quanto riporta il focus odierno del Messaggero, «fino alla metà della retribuzione dell’attività lavorativa svolta dal pensionato, potrebbe tornare all’Inps o al Fisco. Il divieto di cumulo è un passaggio strategico per la riforma previdenziale del governo». Il motivo è assai semplice, per il Governo gialloverde l’intento centrale è quello di creare nuova forza lavoro con i posti lasciati liberi dai pensionati: si vuole dunque evitare che magari le imprese mandino via i dipendenti per poi riassumerli con costi di fatto ridotti in quanto pensionati a titolo ufficiale. (agg. di Niccolò Magnani)
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI CAZZOLA
Non è ancora chiaro se la Quota 41 entrerà o meno nella Legge di bilancio insieme alla Quota 100 per dar vita a una riforma delle pensioni in grado di modificare in maniera sostanziale la Legge Fornero. “Grazie alle nuove misure altri 400mila pensionati potrebbero aggiungersi a quanti – e sono la maggioranza nei flussi della quiescenza del lavoro dipendente – vanno normalmente in congedo anticipato ogni anno. Ma i numeri potrebbero lievitare con oneri sul bilancio statale che, a regime, potrebbero arrivare 20 miliardi di euro. Val la pena di chiedersi se un possibile esodo di massa sia sostenibile non solo sul versante dei conti pubblici (come ormai sembra accertato in senso negativo), ma pure dal lato delle dinamiche del mercato del lavoro, soprattutto per quanto riguarda l’offerta”, è il commento di Giuliano Cazzola sulle pagine di startmag.it.
L’ex deputato sottolinea che “gli esodi anticipati in più avranno corso in larga prevalenza tra la popolazione maschile delle regioni settentrionali (dove si è prossimi al pieno impiego). I lavoratori (anziani per modo di dire) in uscita saranno comunque in numero maggiore dei giovani in entrata, per banali ragioni demografiche”. La conclusione è che “il governo giallo-verde rischia anche in questo caso di ritrovarsi nella medesima situazione del decreto (in)dignità: di avere più pensionati, ma meno lavoratori occupati, soprattutto nelle aree in cui la ripresa c’è stata ed è in atto”. Cazzola poi non esclude che qualcuno una volta andato in pensione non continui a lavorare, anche se in nero.