La manovra è ormai pronta. Si comincia nel 2019 con il reddito e le pensioni di cittadinanza, per cui l’esecutivo ha disposto 9 miliardi di euro. Nello stesso anno troverà applicazione la (contro)riforma della legge Fornero, con il pensionamento a quota 100 per cui sono previsti  7 miliardi di euro. Entrambe le misure impegneranno risorse per 16 miliardi di euro. Così, passato al primo posto nella gerarchia delle dissipazioni, il reddito (con allegata pensione) di cittadinanza è riemerso sui media “più forte e gagliardo di prima”. Nei giorni scorsi il capo politico pentastellato ha voluto persino chiarire alcuni aspetti di merito che possono essere ricapitolati come segue:



l’ammontare di 780 euro mensili (che diventano 1,1mila se ambedue i coniugi sono disoccupati e 1,4mila se di mezzo c’è anche un figlio) è un limite massimo. Se la persona ha un reddito inferiore, questo viene integrato fino al livello stabilito;

– l’assegno deve essere speso, perché a fine mese, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato (altrimenti come si farebbe – dicono – a rilanciare i consumi?);



– il reddito di cittadinanza deve essere utilizzato rigorosamente per l’acquisto di prodotti italiani;

– poi – udite! udite! – la prestazione deve consentire di entrare in possesso solo di beni eticamente corretti. In caso contrario quando l’utente si presenta alla cassa per pagare, la tesserina gli fa un sonoro marameo. Come si possa impiantare un sistema informatico tanto elaborato (ci penserà la Casaleggio & Associati spa?) rimane un mistero;

– i “furbetti” (ovvero coloro che si fingono poveri senza esserlo o che, con il reddito di cittadinanza, acquistano, di contrabbando, caviale e champagne) rischiano fino a 6 anni di galera.



È facile presumere che – non appena le norme entreranno in vigore – fioriranno voluminose Guide per l’uso corretto del reddito di cittadinanza, corredate di figure ed esempi come le pubblicazioni che servono a preparare l’esame per la patente o a partecipare a un concorso pubblico. Poi interverrà una copiosa giurisprudenza che, col passare del tempo, finirà per tracciare percorsi affidabili per i poveri utenti. Perché non è facile – come potrebbe sembrare – avvalersi correttamente dell’assegno. 

I social – irriverenti per natura – si sono interrogati su quali acquisti possono ritenersi “immorali” (i profilattici, le pillole anticoncezionali, la biancheria intima osé, il tabacco e i liquori e via di questo passo). A noi non piace scherzare con la povertà, ma qualche domanda seria ci pare doveroso porla. Mettiamo il caso che un signore, percettore del reddito, abbia bisogno di acquistare un paio di scarpe. Vede nella vetrina di un negozio del centro cittadino delle Geox e delle Tod’s in liquidazione. È tentato di farsi un regalo. Ma subito gli viene un dubbio: è moralmente lecito possedere – da povero – un prodotto griffato? Per non avere storie si reca in un negozio di periferia che espone un paio di simil-Clark. Entra per provarle e magari acquistarle, ma rinuncia subito quando legge sull’etichetta made in Vietnam. Di questo passo non è malevolenza immaginare che, prima o poi, la Guardia di Finanza scoprirà organizzazioni criminali che importano beni prodotti in altri Paesi, appiccicando loro la targhetta contraffatta del made in Italy. 

Facciamo un esempio ancora più complesso. Il percettore del reddito si sottopone a una visita medica privata. È una scelta eticamente corretta quella di non servirsi del medico della Asl? Ammettiamo che il nostro superi l’esame preliminare, ma che si trovi a dover acquistare un farmaco che gli è stato ordinato dallo specialista. Può permettersi di pagare con la card un medicinale che non è incluso nel Prontuario? E se può farlo impunemente deve prendere il prodotto di marca o accontentarsi di quello generico? Che cosa succede, poi, se il farmaco è messo sul mercato da una multinazionale con sede in Irlanda? Come si vede non esiste nel Museo di Sèvres un metro che sancisca, una volta per tutte, ciò che è morale e ciò che non lo è. 

L’ultima considerazione riguarda la pena – 6 anni di reclusione – a cui sarebbero sottoposti i “furbetti”. In uno Stato di diritto vi deve essere una proporzione tra la gravità del reato e la severità della pena. Altrimenti si finisce per scivolare in un regime sostanzialmente talebano, dove vengono lapidate le donne accusate di adulterio. Per quanto moralmente deprecabile sia il fingersi povero senza esserlo al solo scopo di incassare l’assegno, non sarà mai un atto grave come un reato di omicidio colposo (punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni, da 2 anni a 7 anni se si configura come stradale), di truffa aggravata (da 1 a 5 anni), di furto aggravato (da 2 a 6 anni), di rapina (da 4 a 10 anni). Potremmo continuare, ma ci fermiamo qui. God bless Italy.