L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha battuto un altro colpo. Alcune settimane or sono si era già rifiutato di ratificare il documento di sintesi della manovra che il Governo doveva inviare a Bruxelles prima del 15 ottobre. Ieri, nel corso dell’audizione del presidente Giuseppe Pisauro in commissione Bilancio della Camera, l’Upb ha depositato una nota che certo non aiuta i disegni controriformatori dell’esecutivo in materia di pensioni. “Siamo alle solite” – avranno pensato il Truce e il Trucidello, vicepresidenti del Consiglio – “ci criticano senza neppure candidarsi e prendere i voti”.
Sono due gli aspetti del documento che hanno suscitato un immediato interesse. Il primo riguarda gli effetti economici sulla prestazione percepita dai lavoratori che aderissero ai nuovi criteri del pensionamento anticipato. “Secondo stime Upb chi optasse per quota 100 subirebbe – si legge nel documento – una riduzione della pensione lorda rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale da circa il 5 per cento in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30 per cento se l’anticipo è di oltre 4 anni”. Tale esito non è il frutto di una punizione celeste, ma di un banale calcolo secondo le regole vigenti. Quanti, all’età di 62 anni, fossero in grado di far valere solo 38 anni di versamenti contributivi riceveranno un assegno più ridotto rispetto a coloro che – fermi restando i requisiti stabiliti nel 2011 – fossero andati in quiescenza anticipata con un’anzianità contributiva pari, nel 2019, a 43 anni e 2 mesi, se uomini (un anno in meno se donne), a prescindere dall’età anagrafica.
Del resto non si può avere la botte piena e la moglie o il marito ubriachi. Quando si anticipa il requisito anagrafico si invita il lavoratore a preferire l’esodo rispetto all’adeguatezza del trattamento (essendo l’innalzamento dell’età pensionabile la migliore garanzia non solo per la stabilità, ma anche per l’adeguatezza del sistema).
L’altro rilievo dell’Upb è invece più destabilizzante del disegno di “questi qui” (come Filippo Ceccarelli nel suo libro “Invano” ha definito gli attuali governanti). La pensione anticipata con quota 100 – è scritto – “potrebbe potenzialmente riguardare nel 2019 fino a 437mila contribuenti attivi. Qualora l’intera platea utilizzasse il canale di uscita appena soddisfatti i requisiti potrebbe comportare un aumento della spesa pensionistica lorda stimabile in quasi 13 miliardi nel 2019 e sostanzialmente stabile negli anni successivi”. Se così fosse, non è necessario candidarsi alle elezioni per accorgersi che tale ammontare è quasi il doppio di quanto previsto nel ddl di bilancio, non solo per realizzare, fin dai primi mesi dell’anno prossimo, l’agognata quota 100 (come somma dell’età e dell’anzianità di sevizio), ma anche quell’oggetto misterioso che corrisponde alla pensione di cittadinanza (trascurando le frattaglie tra cui l’Opzione donna e magari persino l’ultima tranche di salvaguardia degli esodati). Si spiegherebbe così il sostanziale rinvio – all’articolo 21 del disegno di legge – delle norme operative in materia di pensioni (come, del resto, del reddito di cittadinanza). Il gioco sarebbe stato subito scoperto.
La Ragioneria generale (senza farsi eleggere) avrebbe tradotto in numeri e in risorse gli effetti della nuova disciplina rilevando che gli stanziamenti contenuti nei fondi sarebbero serviti soltanto per dare qualche acconto. C’è una frase attribuita ad Abraham Lincoln che dovrebbe essere mandata a memoria dai due vicepresidenti: “È possibile ingannare una persona per sempre e tutte le altre per una volta. Nessuno però potrà mai ingannare tutti per sempre”.