Intervenendo alcuni giorni fa in tv, il vicepremier, e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio ha rilasciato una, perlomeno incauta, dichiarazione sulle Agenzie per il lavoro e la somministrazione di lavoro considerata, probabilmente per una non adeguata conoscenza dell’istituto, una moderna forma di caporalato e descrivendo chi opera nel settore come dei caporali.



Potrebbero, quindi, essere utili alcune informazioni su come, nel concreto, opera questo contratto così duramente criticato dal leader pentastellato.

La somministrazione di manodopera permette a un’azienda utilizzatrice di rivolgersi a un soggetto specializzato (l’agenzia somministratrice) per utilizzare il lavoro di personale non assunto direttamente dall’impresa, ma, in realtà, dipendente del somministratore. Siamo, insomma, di fronte a “un rapporto a tre”. Da questo deriva che nella somministrazione abbiamo due contratti diversi: un contratto di somministrazione, stipulato tra l’utilizzatore e il somministratore, di natura commerciale, e un contratto di lavoro subordinato stipulato tra il somministratore e il lavoratore.



Entrambi i contratti possono essere stipulati sia a tempo determinato che indeterminato (si parla in questo caso di “staff leasing”). Si deve così evidenziare come il ricorso alla somministrazione, sia a termine che a tempo indeterminato, è vietato per sostituire lavoratori in sciopero, presso unità produttive in cui nei sei mesi precedenti siano stati effettuati licenziamenti collettivi di lavoratori con le stesse mansioni e presso unità produttive in cui vi sia una sospensione o riduzione di orari di lavoro con intervento dell’integrazione salariale, nonché nei contesti produttivi nei quali non è stata effettuata la valutazione dei rischi.



Dal punto di vista economico e normativo i lavoratori dipendenti dalle agenzie hanno diritto alla parità di trattamento rispetto ai dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte, e l’utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali. Se, quindi, il somministratore non dovesse versare il dovuto al lavoratore, questi può richiederlo all’utilizzatore, che è obbligato a corrisponderlo.

In caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato è previsto, inoltre, per i periodi in cui i lavoratori non svolgono la prestazione lavorativa presso un utilizzatore, il pagamento, da parte del somministratore, di un’indennità. Con un contributo, a carico delle Agenzie per il lavoro, pari al 4% delle retribuzioni lorde corrisposte ai lavoratori somministrati, infine, si prevede al finanziamento di Forma.Temp, un fondo di gestione bilaterale della formazione e del sostegno al reddito, che ha permesso (e dovrebbe sempre più) di qualificare ulteriormente il lavoro in somministrazione nel sistema delle politiche del lavoro.

Il caporalato, insomma, è decisamente un’altra cosa e lo sanno bene i lavoratori, specialmente del nostro Mezzogiorno, che sono coinvolti da questo fenomeno criminoso. Bene, quindi, hanno fatto gli operatori del settore a lanciare l’hastag #IoNonSonoUnCaporale. La speranza è che questo “scivolone” del ministro sia l’occasione per conoscere meglio uno strumento che, pur con tutti i suoi limiti che non devono essere negati, può rappresentare, almeno in una prima fase di inserimento/reinserimento nel mercato del lavoro, un’opportunità in più da sfruttare per la promozione dell’occupazione.