C’è stato un tempo in cui ogni Governo che si rispettasse, e Dio sa quanti ne abbiamo sperimentati, doveva avere la “sua” riforma della Scuola. A distanza di 2-3 anni si sono succedute Riforme e riformine, tutte accomunate da un dato di fatto: se piacevano agli uni dovevano dispiacere agli altri. In generale, peraltro, nessuna è piaciuta ai protagonisti primi, alunni, genitori e docenti.
Ora, dopo anni in cui si è parlato di integrare mondo del lavoro e mondo della scuola, i governi si stanno specializzando in “Riforma del mercato del lavoro”. È un trend simpatico, anche interessante: vedi apparire e sparire figure di educatori, di esperti di pedagogia e di integrazione tra imprese e scuole. Vedi affermare tutto, il contrario di tutto: vedi soprattutto realizzarsi il nulla. Ovviamente anche questo Governo, il laocoontico insieme giallo-verde che ci amministra, ha pensato di fare la sua riforma. Oddio: ha pensato soprattutto a disfare quella precedente, per annunciarne una tutta sua che dovrà coincidere con il reddito di cittadinanza e così dare un salario a chi non ce l’ha, un lavoro a chi lo cerca, una speranza ai disperati.
Ecco. C’è da dire che le premesse sono sempre le stesse per tutti i Governi. Possiamo stare certi che nessuno dirà mai che riforma il sistema per perdere posti di lavoro, per togliere i soldi alla gente e per incrementare la disoccupazione. Ma è un fatto che disoccupazione, lavoro che non c’è e salari bassi si affermino da soli. E così temiamo che sarà anche stavolta, se le premesse sono quelle che possiamo vedere.
Secondo il Ministro avellino-ischitano Luigi Di Maio, infatti, sulla base degli attenti studi condotti dal luminare Beppe Grillo, il rafforzamento dei Centri per l’impiego offrirà tre posti di lavoro ai disoccupati percettori del reddito di Cittadinanza e farà sì che il mercato del lavoro riprenda. Un po’ come dire che siccome tutti avremo un salario le aziende andranno bene. Una rivoluzione galileiana, in un certo senso, se non fosse che essa sembra invece, nel più puro stile anarco-internettiano, una riaffermazione della verità tomistico aristotelica: non è la terra che gira, ma è il sole che si muove. La terra poi è piatta, e già che ci siamo lo Stretto di Gibilterra è pure la fine del mondo.
Non vogliamo sparare sulla Croce Rossa. Papa Francesco ci ha appena ammoniti a non sparlare dei nostri fratelli (presumiamo che tra questi classifichi anche Salvini), a non mormorare. Allora vogliamo cercare di essere seri e di analizzare la situazione reale. L’Italia è divisa in due, anzi in tre parti: se al Nord il lavoro latita ma a cicli alterni, al Sud i cicli non si sentono (nel senso che il lavoro non c’è a prescindere dalla congiuntura economica). Al Centro dipende. Ora quante sono le aziende che passano dai Centri per l’impiego nel Nord per cercare lavori qualificati, diciamo posizioni di medio-alto livello, quadri o dirigenti? Pochine, per non dire nisba. Quante sono quelle che pescano dai Centri per l’impiego i propri tecnici di concetto? Diciamo che non sono la maggioranza. E stiamo parlando del segmento di mercato del lavoro più ricco e delle regioni dove il lavoro e le imprese per ora, in attesa della decrescita felice, ancora resistono. Ergo: quali sono i lavori che, in maggioranza, i Centri per l’impiego possono/potranno offrire?
In buona parte sono posti di bassa qualifica. Al massimo posizioni medie. Cioè quelle posizioni per cui sono previsti salari non altissimi, quando non sono dei part-time. Perché in quest’ultimo caso il salario è significativa basso. In buona parte il sistema ha retto grazie alle Agenzie per il lavoro e all’integrazione tra queste, il sistema pubblico e la formazione. Uno snodo virtuoso che però perfino dove esso ha dato in passato frutti non disprezzabili (pensiamo alla Lombardia) è entrato in crisi a seguito di scelte, centralistiche o regionali che siano state, non sempre comprensibili.
Questo è il quadro credibile e prevedibile a oggi. Di solito però va anche peggio. Così, sempre tenendo presente il monito del Santo Padre, proviamo a immaginare, senza ridere e senza fare della facile ironia, cosa succederà nel Bel Paese se e quando prenderà il via il reddito di cittadinanza e se, e quando, i Centri per l’impiego non serviranno principalmente per dare da lavorare a bravissimi e incolpevoli impiegati pubblici.
In quel tempo felice, il lavoratore Mario, dopo aver perso l’impiego, si rivolgerà al Centro per l’impiego del suo paese, nel quale un solerte funzionario lo iscriverà nelle liste dei disoccupati: ciò che gli consentirà l’accesso al reddito di cittadinanza. Poi, pescando in un database, che si vorrebbe ricchissimo e nel quale tutte le imprese dovranno aver riversato le loro esigenze di personale, proporrà a Mario un lavoro: è del tutto credibile che questi non differirà di molto da un lavoro in una cooperativa come operaio generico. Stipendio intorno agli 800 eurini. Mario ci penserà e dovrà star bene attento a rinunciarvi, perché in quel caso avrà altri due colpi da spendere prima di perdere il reddito.
Il problema per Mario è che la qualità dei lavori che almeno fino a oggi i centri potranno offrirgli non rischia di essere molto diversa dal quella del primo impiego. E allora Mario finirà per chiedersi se sia giusto che lui lavori per guadagnare meno rispetto al suo amico che invece sta a casa a aspettare che lo Stato gli recapiti puntualmente una rendita (superiore alla sua) in quanto cittadino disoccupato. E siccome Mario è italiano noi sospettiamo (lo confessiamo: stiamo approfittando bassamente del fatto che la catechesi pontifica non abbia ancora affrontato il tema andreottiano del pensar male) che nella benedetta penisola la realtà sarà fatta di lavori (e quindi di offerte) che non ci sono; di lavoratori che al meglio si faranno cacciare in fretta dal posto di impiego per tornare al loro bel servizio in nero completato da quel reddito cui hanno diritto; di giovani che dopo una laurea e tre dottorati e master si sentiranno offrire un posto da rappresentante part-time di spazzolini da denti per marmotte; e via (mal)pensando. Ma soprattutto immaginiamo i poveri impiegati dei Centri del Sud Italia cui verrà bellamente addebitata la mancanza cronica di posti di lavoro: perché nel mondo del nostro mirabolante e mirifico Governo, se qualcosa non funziona non è frutto di pochezza e pressapochismo; di dilettantismo coniugato con competenze affinate molto più in alcoliche dispute tabernarie che non in tesi universitarie; ma le colpe sono sempre di una qualche manina; dell’Europa che ci boicotta; della Peste bubbonica; delle cavallette bibliche; della astrale confluenza di Sirio in Marte; del Big Bang. Insomma, di tutti tranne che di chi governa senza sapere; e parla senza governare.
Santo Padre ci perdoni e ci assolva, ma non è mica facile pensar bene e non fare ironia su fratelli che ogni giorno ne combinano una e ne annunciano due. E poi, Santità, questi stanno giocando col lavoro degli altri. Perché loro per cinque anni si sono sistemati… E senza l’aiuto dei Centri per l’impiego.