Recenti studi ci raccontano come nell’ultimo decennio i diversi mercati del lavoro europei abbiano registrato una crescita del numero di lavoratori “anziani” attivi nel mondo del lavoro e un continuo calo del tasso di disoccupazione in questa fascia d’età. Molti lavoratori giovani e di mezza età hanno, infatti, perso il posto nella Grande Recessione post 2008, ma questo non si è verificato per i lavoratori più “maturi”.
Questo stato di cose favorevole ha, probabilmente, avuto come risultato una minore attenzione da parte della politica e dei mezzi di comunicazione al tema. Un dato questo certamente negativo per chi, più sfortunato, all’interno di questa classe di età si è trovato improvvisamente senza un lavoro. La questione merita, tuttavia, un’attenzione specifica anche a causa delle conseguenze che questo fenomeno, seppur limitato, rischia di apportare alle nostre società.
Tutti i paesi europei (non solo l’Italia) stanno, infatti, invecchiando. Questa buona notizia per le persone rappresenta, altresì, una minaccia per la sostenibilità dei sistemi di welfare state come li abbiamo conosciuti finora, in quanto, già dai prossimi anni, un numero minore di lavoratori dovrà finanziare un numero sempre crescente di pensionati con una prospettiva di vita di fronte a loro “auspicabilmente” lunga. I governi di tutta Europa stanno, in questo quadro, cercando così di mantenere un equilibrio possibile tra le varie istanze innalzando l’età pensionabile e introducendo varie misure per estendere la vita lavorativa.
Le misure più efficaci sembrano essere quelle che prevedono pacchetti completi, e diversificati, di risposte e che mixano, ad esempio, consulenza, formazione e sussidi. Molti Stati europei hanno poi immaginato per i lavoratori più anziani una via di uscita attraverso la definizione di regimi di pensionamento anticipato o di assistenza sociale.
In questa direzione sembra muoversi anche il Governo giallo-verde italiano che, già nel contratto di governo, ha annunciato di voler lavorare per l’abolizione degli squilibri del sistema previdenziale introdotti, secondo gli estensori del documento, dalla riforma “Fornero”, stanziando alcuni miliardi per agevolare l’uscita dal mercato del lavoro di alcune categorie a oggi escluse.
Si immaginava, già in quella sede, di dare, fin da subito, la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l’obiettivo, in prospettiva, di consentire il raggiungimento della pensione con 41 anni di anzianità contributiva, tenuto, ovviamente, conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti. La scelta, confermata dalla Legge di bilancio, sembra di non così facile sostenibilità e non particolarmente gradita dalle istituzioni europee e dai mercati. L’esito dello scontro tra Europa e Governo appare, almeno a oggi, a favore della Commissione.
Mantenere nel mercato molti lavoratori anziani se, probabilmente, rappresenta un dato positivo per il nostro sistema previdenziale, presuppone, allo stesso tempo, la messa in campo di risorse adeguate per la costruzione di una rete di servizi e politiche per il lavoro all’altezza di sfide, almeno per il nostro Paese, nuove quali quelle di un serio sistema per l’apprendimento permanente e per l’invecchiamento attivo.