Caro direttore, come già l’anno scorso, anche quest’anno mi trovo a scriverti durante il mio itinerante da nord a sud per via dei congressi del sindacato. Quest’anno tocca alla Cgil e, anche per via dell’investitura di Maurizio Landini a futuro segretario generale, l’argomento è noto ai media e alle persone più in generale. Come sai, ne abbiamo già scritto, tale candidatura ha creato un caso nella Cgil; è tuttavia indubbio che Landini resta il volto più conosciuto dell’intero movimento sindacale. E ciò indubbiamente sta creando attenzione sul congresso della Cgil, delle sue strutture territoriali e delle sue federazioni di categoria che proprio in questo periodo vivono l’iter congressuale nella sua fase più alta, quella del livello nazionale.



Quest’anno ho partecipato a diversi congressi, sia della confederazione – la Cgil appunto -, sia della Filctem, la Federazione Italiana Lavoratori Chimica Tessile Energia Manifatture, meglio nota come “i chimici” della Cgil. Si tratta di una categoria che tradizionalmente esprime, al pari delle omologhe di Cisl e Uil, il miglior livello di partecipazione e di relazioni sindacali, cosa che poi si traduce negli accordi migliori e più innovativi dell’intero sistema. Anche quest’anno, i chimici sono stati i primi ad aprire la stagione contrattuale. Certamente il comparto non ha vissuto in questi anni drammi come quello dell’industria pesante, va però detto che in quasi nessun altro settore il modello di relazioni industriali produce quel servizio alla persona – le relazioni industriali non sono una nuova forma di religione! – che risulta da questa categoria.



La questione che però è più interessante rilevare è non solo che i congressi del sindacato continuano a essere molto popolati e a confermare che la rappresentanza del lavoro – contrariamente alla politica – sa ancora aggregare: il sindacato resta un organizzazione che ha i suoi difetti e i suoi ritardi, ma indubbiamente la sua presenza nei luoghi di lavoro con i suoi delegati continua a tenerlo a contatto con le persone e con le loro problematiche concrete. Per cui, o effettivamente un servizio ne risulta o i lavoratori – di questi tempi – non rinnovano la tessera. C’è però dell’altro: il sindacato di categoria – che si differenzia da quello confederale proprio per la sua presenza nei luoghi di lavoro – è un soggetto che nelle sue sedi preposte riesce, anche se non tutto, a “fare cultura”, a proporsi cioè nel suo rapporto con le persone come luogo non solo di aggregazione ma anche di riflessione.



È quello che sono stati questi primi due giorni a Napoli della Filctem (il congresso si chiude oggi con il rituale dell’elezione del Segretario generale), dove non solo c’è stato un dibattito di profondo respiro sui “Dilemmi della modernità – Lavoro, Democrazia, Europa, Integrazione, Innovazione” (e il fatto che vi partecipasse un filosofo, Giulio Giorello, rende l’idea di questa profondità), ma la stessa relazione del Segretario generale in carica – Emilio Miceli – ci dice quanto oggi il sindacato dell’industria resti l’unico soggetto in grado di esprimere un’idea di politica economica e di sviluppo economico.

L’assenza della questione industriale dal dibattito politico e dalla manovra finanziaria è un fatto grave, la politica non può ridursi alla campagna elettorale permanente e a misure di consenso di corto respiro. L’Italia resta la seconda potenza manifatturiera d’Europa, il decisore non può ignorare cosa siamo nelle sue scelte. Nelle categorie dell’industria c’è questa consapevolezza e la necessità di dare concretezza al proprio mandato di rappresentanza è forse il fattore primo che obbliga le Parti non solo al rispetto reciproco, ma anche a quel comportamento virtuoso che si traduce poi in intese e accordi. Al di là dell’interesse specifico che distingue sindacati e associazioni di impresa, se prendiamo bravi sindacalisti del lavoro come d’impresa, la tensione che hanno per la mediazione – passata attraverso anni difficili in cui non è mancata la necessità di individuare soluzioni di fronte a problemi del tutto nuovi (si pensi alla deflazione) – li rende oggi molto capaci di parlare di industria come il prodotto sia del capitale come del lavoro (per usare categorie tradizionali).

Il valore di un’organizzazione si evince anche dalla sua articolazione, se questa è cioè in grado di esprimere capacità contrattuali e di rappresentanza non solo al livello nazionale ma anche a quello territoriale. Da questo punto di vista, la Filctem siciliana ad esempio – in Sicilia c’è il distretto petrolchimico – è organizzazione con idee molto chiare al pari della struttura nazionale. Di fronte ai temi delle infrastrutture, delle grandi opere, dell’energia, della burocrazia, ecc., il sindacato – come la Filctem – può essere il più grande alleato dell’impresa. Non in modo passivo, ma perché la crescita produce ricchezza, sia per chi investe sia per chi lavora. Ma soprattutto perché l’industria è di tutti, è anche dei lavoratori.

Le relazioni industriali sono uno strumento potente. Questa consapevolezza è nel dna della Filctem e delle rappresentanze di questo settore. Qualcuno dice che le relazioni sindacali sono buone perché il settore va bene. Non è che, forse, il settore va bene perché sono buone (anche) le relazioni sindacali?

Twitter: @sabella_thinkin

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