Le bozze della manovra economica del Governo, pubblicate in questi giorni, che saranno a breve all’esame del Parlamento, riportano indicazioni che già il Ministro Bussetti aveva anticipato nei mesi scorsi con provvedimenti legati al prossimo Esame di Stato: l’Alternanza Scuola Lavoro, uno dei pilastri sui quali si basava la legge 107/15 “buonascuola”, viene sostanzialmente depotenziata e svuotata dei contenuti più innovativi. Si passa infatti dalle 400 ore nell’ultimo triennio delle superiori di istituti professionali e tecnici, rispettivamente a 180 e 150 ore, mentre nei licei si passa dalle 200 a 90 ore, mentre in luogo di esperienze in azienda da parte degli allievi si parla di un non meglio definito “percorso per le competenze trasversali e l’orientamento”.
A soli tre anni dall’inizio dell’esperienza, che ha coinvolto oltre un milione e mezzo di studenti e che almeno negli intenti doveva essere una grande rivoluzione del sistema formativo nazionale, si va verso la chiusura del progetto, suscitando da un lato l’approvazione della parte più conservatrice degli operatori della formazione e dall’altro la protesta delle associazioni datoriali e di chi aveva visto nella sua applicazione una svolta decisa nei rapporti tra scuola e mondo della produzione e dei servizi.
Al di là delle difficoltà di applicazione che molti hanno lamentato, dovuta oltre che a oggettivi problemi per via del numero degli studenti coinvolti e della sostanziale impreparazione sia del sistema scolastico che di quello aziendale, è evidente che al momento non è ancora possibile una seria analisi dei risultati dato che l’esperienza ha visto appena la fine del primo ciclo di applicazione e i riscontri potranno essere solo parziali e privi di validità statistica. Sconcerta quindi che ancora una volta nel nostro Paese non si riesca a tenere una linea di sviluppo e innovazione in campo formativo che resista ai successivi cambiamenti di Governo e che, senza attendere possibili oggettivi risultati, si decida un cambiamento di rotta sostanziale nei rapporti tra l’istituzione scolastica e il mondo del lavoro.
Lo sconcerto aumenta alla luce dei recentissimi dati Istat sull’occupazione e dell’altrettanto recente rapporto Excelsior di Unioncamere e Anpal sulle professioni di difficile reperimento. Entrambi i rapporti descrivono una situazione nella quale la disoccupazione giovanile torna ad aumentare passando dal 31,4% al 31,6% e diminuiscono i lavori a tempo indeterminato da un lato, mentre dall’altro riportano la grande richiesta di lavoratori qualificati da parte dell’impresa italiana. Excelsior infatti denuncia il permanere dell’enorme difficoltà di reperimento di professionalità legate a competenze tecniche avanzate da parte delle aziende italiane (il 29% dell’offerta di contratti, 370.000 entro fine ottobre, risulta di difficile reperimento).
Un’analisi comparata, anche non troppo raffinata, dei citati studi evidenzia una problematica da tempo conosciuta: il nostro sistema formativo non riesce a preparare i giovani con competenze necessarie a ricoprire le posizioni più richieste dal sistema produttivo e dalla società civile. Il progetto dell’Alternanza Scuola Lavoro partiva proprio con l’obiettivo di avvicinare i giovani al lavoro ponendo le basi su alcuni principi che probabilmente poco sono stati compresi e applicati.
Il principale era quello di considerare la formazione scolastica e quella legata alla produzione e ai servizi inserite in un unico progetto, coinvolgendo i formatori di entrambi nella compilazione dei curricoli e nella definizione delle competenze. L’impresa si è rivelata ardua in considerazione dell’endemica resistenza al cambiamento del sistema formativo, unita alla mediamente limitata preparazione metodologica dei docenti da una parte e della totale impreparazione alla formazione della gran parte delle aziende dall’altra. Il risultato è stato che in molti casi l’esperienza è stata vissuta dai Consigli di Classe come una perdita di tempo scuola e quindi un limite nella preparazione degli allievi – come se la formazione di una persona fosse solo legata a quanto imparato dai libri o a lezione – e come uno spreco di risorse dagli operatori aziendali meno preparati, che considerano di scarsa utilità tutto il tempo dedicato a formare i giovani e quindi sottratto alla produzione.
I fatti parlano comunque di una sostanziale applicazione di qualità dei progetti di Alternanza Scuola Lavoro negli Istituti (soprattutto tecnici e professionali) che già prima dell’esperienza erano coinvolti in sistemi misti scuola azienda come tirocini, Cts, esperienze pilota di scuola in azienda e di risultati mediamente limitati, quando non fallimentari, nelle realtà come i licei o in istituti nei quali i rapporti con le realtà esterne sono poco sviluppati. Ma allora non sarebbe stato più opportuno insistere nell’esperienza, correggendo e integrando le indicazioni per una sempre più diffusa integrazione dei vari sistemi concedendo il tempo e gli aiuti necessari agli istituti in difficoltà?
Un altro limite si è rivelato immediatamente nei territori dove l’offerta scolastica non è coerente con il sistema produttivo locale: dove trovare spazi per collaborazioni legate alla formazione specifica? Il problema in questo caso ha radici più profonde: come viene programmata l’offerta formativa in Italia?
Gli interrogativi posti non sono di semplice soluzione e forse non avranno mai una risposta definitiva, resta la delusione e l’amarezza dovuta all’enorme dispendio di energie che istituti, aziende, associazioni datoriali, enti di vario tipo hanno profuso e che ora rischiano di essere vanificati con scelte frettolose delle quali non si comprendono motivazioni e finalità. Il “sistema Italia” non può più permettersi false partenze, necessita piuttosto della progettazione e della realizzazione sistemica di piani di ampio respiro con obiettivi chiari.