IL PROGRAMMA DI DAMIANO
Mentre il Governo lavora alla riforma delle pensioni 2019, che dovrà contenere anche la Quota 100, Cesare Damiano prosegue la presentazione del programma dei LaburistiDem e della sua candidatura al congresso del Partito democratico. “Quello che serve è una discontinuità politica e di metodo di direzione, non un cambio di alleanze congressuali che lasci inalterata la sostanza delle scelte compiute fino ad ora. Il nostro è l’unico programma finora presentato e ci piacerebbe confrontarci con le proposte degli altri candidati”, ha detto l’ex ministro del Lavoro a Torino. “Le nostre indicazioni sono chiare, vogliamo superare la mitologia del partito ‘leggero’, crediamo nell’intervento innovatore e regolatore dello Stato nell’economia, riteniamo che sia giunto il momento di far sedere i rappresentanti dei lavoratori nei Consigli di amministrazione delle grandi imprese, siamo per il superamento della legge Fornero attraverso il consolidamento del sistema della flessibilità”, ha aggiunto, specificando anche di ritenere necessario “il superamento del Jobs Act sul tema dei licenziamenti individuali illegittimi e proponiamo che sia prevista la reintegra nel posto di lavoro”.
C’È CHI A 72 ANNI DEVE CONTINUARE A LAVORARE
La riforma delle pensioni con Quota 100 promette di far andare in pensione a 62 anni, se in possesso di 38 anni di anzianità contributiva. Eppure c’è chi in Italia deve lavorare ancora anche se ha 72 anni. L’Espresso racconta il caso di una donna che ha iniziato a lavorare nel 1961, che nel 1971 è stata a casa per sette anni per ragioni familiari, e poi ha ripreso a lavorare, ma sta ancora continuando perché secondo l’Inps non ha raggiunto i 20 anni di contributi minimi per andare in pensione. “Nel solo settore scolastico ci sono 100 mila persone in questa situazione. È il personale che si occupa delle pulizie, della ristorazione, della manutenzione degli edifici, dell’assistenza agli alunni disabili. Dovranno continuare a lavorare ben oltre i settant’anni per avere una pensione misera. Ed è solo la punta di un gigantesco iceberg che si infrangerà sull’Inps non appena i lavoratori flessibili e quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il ’95, cioè con l’introduzione del sistema contributivo e l’avvento dei contratti precari, avranno i capelli bianchi”, sono le parole del sindacalista della Cgil Giorgio Raoul Ortolani riportate dal settimanale.
LA PROMESSA NON MANTENUTA PER IL SUD
La riforma delle pensioni 2019 dovrebbe portare all’introduzione di Quota 100, ma c’è chi fa notare che il Governo, o quanto meno la componente leghista rappresentata da Matteo Salvini, di fatto non realizzerà quella che sembra una promessa importante per il Sud Italia: la creazione di un’area di esenzione fiscale per i pensionati. Il Segretario del Carroccio aveva detto questa estate che avrebbe proposto la creazione di queste aree nelle regioni più svantaggiate, anche per fermare “l’esodo” di diversi pensionati italiani che si trasferiscono in Portogallo o in Bulgaria, piuttosto che alle Canarie, in virtù proprio di un trattamento fiscale privilegiato. Rodolfo Ruocco, sulle pagine di sfogliaroma.it, ricorda che Salvini aveva ritirato fuori l’argomento a ottobre durante una trasmissione televisiva. Tuttavia “per ora non c’è una parola, una sola parola né nel disegno di legge legge di Bilancio né in un provvedimento collegato”. Una delusione per diversi comuni del Sud Italia e anche per diversi pensionati italiani che immaginavano magari di poter avere un’agevolazione fiscale senza espatriare.
IL PROBLEMA PER I LAVORI GRAVOSI
Il Governo, oltre a Quota 100, sembra intenzionato a varare una riforma delle pensioni che prevede il blocco dell’aspettativa di vita per quanto riguarda il requisito contributivo, che dovrebbe rimanere fermo a 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne). Un blocco che è già stato previsto per le categorie appartenenti ai cosiddetti lavori gravosi. Anche se, su questo fronte, l’associazione “Ancora in marcia”, che dal 1908 rappresenta i macchinisti delle ferrovie italiane, segnala che ci sono degli iscritti, in diverse parti d’Italia, cui la domanda di accesso alla pensione viene respinta e non possono quindi presentare le dimissioni, pur se raggiungeranno il traguardo dell’anzianità contributiva previsto. “I macchinisti o capotreno devono dare le dimissioni 90 giorni prima al raggiungimento dei requisiti …chi raggiunge i requisiti ai primi di gennaio 2019 è già costretto a lavorare oltre i 42/10. Il decreto, in sostanza, è stato emanato e pubblicato in gazzetta ufficiale a giugno…. Manca la circolare operativa dell’Inps”, ha fatto sapere Rinaldo Nanci attraverso pensionipertutti.it.
I SOLDI NON BASTANO PER DAMIANO
La manovra 2019 continua il suo iter parlamentare e, come noto, in tema di riforma delle pensioni non c’è al momento nulla salvo che lo stanziamento di 6,7 miliardi per l’anno prossimo e di 7 miliardi per il 2020. Risorse che però Cesare Damiano reputa “insufficienti rispetto al ventaglio di promesse che l’Esecutivo gialloverde continua a propinare agli italiani”. L’ex ministro del Lavoro non nasconde che “anche noi vorremmo Quota 100, 41 anni di contributi, Opzione Donna e il blocco dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, ma sappiamo che per farlo non bastano i 6,7 miliardi di euro all’anno che sono stati stanziati. Bisogna che il Governo trovi altre risorse se vuole mantenere le promesse”. Difficile però che ciò possa avvenire. Oltretutto lo stesso Damiano ricorda che il Governo con questa manovra si è di fatto messo contro la Commissione europea. La Legge di bilancio, a detta dell’ex deputato, presenta anche “debolezze strutturali. Infatti, il Governo continua a basare le sue previsioni su una crescita dell’1,5%, che non esiste”.
INPS, BRAMBILLA AL POSTO DI BOERI DOPO LA RIFORMA
Con la manovra 2019 non dovrebbe arrivare solo la riforma delle pensioni con Quota 100, ma anche una riforma della governance dell’Inps, che negli ultimi tempi era stata richiesta anche dai sindacati. C’è infatti chi non vede di buon occhio l’accentramento di diversi poteri nelle mani del Presidente e la Legge di bilancio potrebbe essere l’occasione buona per rivedere il sistema, considerando oltretutto che il mandato di Tito Boeri scade a febbraio. Secondo quanto riporta Adnkronos, quindi, la maggioranza starebbe già lavorando a un decreto o a un ddl collegato alla manovra per intervenire sul tema. Inoltre, pare che Boeri verrà sostituito da Alberto Brambilla, che ha curato il programma previdenziale della Lega. Dal canto suo, il Movimento 5 Stelle, che non avrebbe apprezzato le ultime critiche arrivate da Boeri sulla manovra, punterebbe a scegliere il Direttore generale, in modo che l’Inps non resti comunque nelle mani di una persona scelta dall’alleato di governo. Probabile a questo punto che Boeri resti in carica fino alla naturale scadenza del mandato.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI FRANCHI
Massimo Franchi ha da poco scritto un libro dal titolo “L’inganno delle pensioni. Come l’austerity previdenziale è stata usata per fare cassa alimentando lo scontro generazionale”. Il giornalista del Manifesto ritiene che la riforma delle pensioni del 2011 sia da superare, “ma poi serve una pensione integrativa di 980 euro sullo schema di una base universalistica per chi è privo di altri mezzi, finanziata dalla fiscalità generale. Altrimenti si continueranno a contare le vittime dell’austerity e della conseguente privatizzazione della previdenza sociale, mentre la propaganda non smetterà di fomentare uno scontro generazionale per fare cassa utilizzando i soliti falsi miti”. Intervistato da AbruzzoWeb, Franchi spiega che questa pensione di garanzia “non avrebbe alcuna spesa immediata e coprirebbe i buchi previdenziali a chi, sempre a causa proprio dell’austerity e dell’economia neoliberista, si ritrova spesso fuori dal mondo del lavoro”.
Dal suo punto di vista, poi, ci sono gli 80 miliardi di risparmi per il bilancio pubblico prodotti dalla Legge Fornero cui attingere per evitare “di tagliare il già magro stato sociale”. Quanto alla proposta di Quota 100, il giornalista la ritiene rischiosa, anche perché favorisce “in particolare chi ha subito meno la crisi, cioè i lavoratori del nord e i dipendenti pubblici”. Quanto all’ipotesi di intervenire sulle pensioni cosiddette d’oro, Franchi evidenzia che “tagliandole si possono imporre dei sacrifici anche a chi prende meno di 4.500 euro, arrivando cioè a toccare anche chi prende pensioni molto più basse”.