Come noto, il primo novembre scorso Ilva è entrata ufficialmente a far parte di ArcelorMittal, il più importante player mondiale dell’acciaio nato nel 2006 dalla fusione della francese Arcelor e dell’inglese Mittal Steel e guidato dall’imprenditore indiano Lakshmi Mittal. L’acquisizione di Ilva, in amministrazione straordinaria dal 21 gennaio 2015, avviene attraverso AM Investco Italy, consorzio partecipato per il 94,4% da ArcelorMittal e per il 5,6% dal gruppo Intesa Sanpaolo.
La restart di Ilva – in particolare del suo stabilimento tarantino – è un’operazione di elevata complessità, sia da un punto di vista dell’organizzazione del lavoro, sia da un punto di vista dell’intervento di recupero ambientale che Arcelor Mittal si è impegnata a fare. Va ricordato che tale intervento, a detta anche di chi inizialmente non era del tutto favorevole alla cessione di Ilva a Mittal, “non ha precedenti nella storia di Taranto” ed è oggi una grande occasione per il territorio e per la comunità dei due Mari.
Lo stabilimento siderurgico di Taranto fu inaugurato nel 1965 prima sotto l’insegna Italsider, poi Nuova Italsider, Ilva e ora ArcelorMittal. Il polo siderurgico è stato sotto la gestione pubblica con le Partecipazioni Statali e l’Iri, poi nel 1995 fu ceduto al privato con l’avvento del gruppo Riva. Dopo il sequestro degli impianti dell’area a caldo del 2012 c’è stata la gestione commissariale e successivamente l’amministrazione straordinaria, che condivide una gestione mista con Mittal in vista della definitiva cessione. Obiettivo di questo nuovo corso, come si faceva cenno, non è soltanto il rilancio della produzione, ma anche l’impegno a ristabilire un equilibrio tra la fabbrica e il territorio.
Da questo punto di vista, nella conferenza stampa che Mittal ha tenuto questa settimana, l’amministratore delegato Matthieu Jehl ricordava che entro il 2019 avverrà la copertura del parco minerali ferrosi ed entro la fine del 2020 quella del parco del carbone. Altro progetto molto importante sono le emissioni dell’impianto di agglomerazione con l’uso di nuovi filtri per ridurre le diossine, dal 30 al 40 per cento.
Per quanto riguarda la riorganizzazione aziendale e la gestione dell’accordo, impresa e sindacati si sono ritrovati ieri al Mise per fare il punto della situazione, anche perché c’è stato qualche malumore circa la scelta dei 2.600 lavoratori destinati alla cassa integrazione. La Uilm, in particolare, ha fatto notare che la cassa integrazione ha toccato i lavoratori delle manutenzioni e che questa è stata una scelta grave e sbagliata.
Le organizzazioni sindacali hanno invitato ArcelorMittal ad avviare tavoli di confronto con le Rsu per tenere sotto controllo l’effettiva applicazione dell’accordo del 6 settembre. Mittal si è detta disponibile e ciò è stato apprezzato dai sindacati. La volontà delle parti coinvolte, anche dell’azienda stessa, è quella di fare le cose per bene e con massima responsabilità. Tuttavia, la già richiamata complessità dell’operazione chiede naturalmente massima attenzione: il clima partecipativo che si è instaurato è importante, anche perché – in particolare a Taranto – è la comunità sociale che deve comprendere il valore della restart della nuova Ilva. Sindacati e istituzioni non sottovalutino il dramma e la difficoltà dei tarantini a convivere con il fantasma di chi ha ferito la loro vita. Potrebbe ciò rivelarsi più letale di un piano industriale sbagliato.
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