DURIGON: QUOTA 100 COSTERÀ 4,7 MILIARDI
La riforma delle pensioni con Quota 100 costerà nel 2019 4,7 miliardi di euro, due in meno rispetto a quelli stanziati con la manovra. Lo spiega Claudio Durigon al Corriere della Sera, specificando anche che “questa misura non è strutturale, ma avrà una durata triennale, per svuotare il bacino dei lavoratori bloccati dalla riforma Fornero”. Il sottosegretario al Lavoro evidenzia anche che le prime pensioni, con il meccanismo delle finestre, verranno pagate ad aprile e che per il 2020 e il 2021 lo stanziamento per Quota 100 sarà di circa 8 miliardi di euro per coprire l’intero anno. Dunque circa uno in più rispetto a quanto precedentemente ipotizzato. I dipendenti pubblici dovranno dare un preavviso di tre mesi prima di poter presentare domanda di pensionamento. Il divieto di cumulo per il pensionato resterà in vigore fino a quando non raggiungerà l’età necessaria al pensionamento di vecchiaia, ovvero 67 anni. Durigon conferma anche che il Governo sta studiando “un meccanismo di raffreddamento dell’indicizzazione, in particolare per le pensioni più alte, mentre per quelle più basse dovrebbe essere vantaggioso”.
TRIA: PRESTO VERO COSTO DI QUOTA 100
Secondo quanto dichiarato da Giovanni Tria, entro la giornata di oggi all’interno del Governo si arriverà a prendere la decisione circa i saldi di finanza pubblica su cui poi si lavorerà per una rimodulazione della manovra. Il ministro dell’Economia ha comunque confermato che resterà il fondo costituito per riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza, anche se “si sta determinando in modo più preciso il vero costo delle misure”. Tria si è detto convinto del fatto che ci saranno “spazi per vedere che il costo potrà essere inferiore rispetto a quanto preventivato in una situazione di maggiore incertezza”. E ha anche evidenziato che la riforma delle pensioni con Quota 100 e il reddito di cittadinanza sono “misure che richiederanno qualche mese per essere realizzate e perché producano spesa effettiva”. Non resta quindi che attendere di conoscere la cifra effettiva che si stima verrà utilizzata per la riforma delle pensioni, anche per capire quale sarà il suo impatto sui conti pubblici, oltre che sugli aspiranti pensionandi.
IL SOSTEGNO DI DAMIANO AGLI ESODATI
Nei giorni scorsi, alcuni esodati hanno scritto una lettera al Presidente della Repubblica, al Premier, ai vicepremier, al Presidente dell’Inps e al ministro dell’Economia per ribadire l’importante di varare una nona salvaguardia ancora attesa da circa 6000 persone. Cesare Damiano ha fatto sapere di condividere l’appello degli esodati, ricordando che il Governo dovrebbe procedere, come promesso, a varare la salvaguardia. “Il problema ancora da risolvere riguarda circa 6.000 lavoratori, mentre le precedenti otto salvaguardie hanno messo al riparo, con la pensione, oltre 150.000 persone. Così si risolverebbe definitivamente il problema degli esodati, affrontato in modo risoluto e positivo con una dura battaglia del Pd nella passata legislatura con uno stanziamento di risorse pari a 11 miliardi di euro, non tutte spese. Il recupero di questi risparmi potrebbe contribuire a risolvere parzialmente il problema delle coperture finanziarie”. “Il problema va risolto. Come segnalato anche nel rendiconto del Comitato di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps appena reso pubblico”, ha aggiunto l’ex ministro del Lavoro.
PRIMA DELLA QUOTA 100 C’È QUOTA SGARBI
Con un video postato su Facebook, Maurizio Belpietro parla della “Quota Sgarbi”, con riferimento al fatto che il noto critico d’arte va in pensione a 67 anni, tra l’altro andando a incassare, come ha raccontato in un’intervista a Panorama, una cifra tra i 2.500 e i 3.500 euro al mese. “Probabilmente una di quelle pensioni che i 5 Stelle definirebbero ‘d’oro’ e vorrebbero anche un po’ decurtare, ma l’interesse per la ‘quota Sgarbi’ non è tanto il fatto che il critico d’arte e parlamentare vada in pensione, ma che il critico d’arte abbia goduto per decenni dei contributi figurativi”, spiega il giornalista ricordando che i contributi figurativi non corrispondono a versamenti contributivi effettuati. “E allora, mentre si discute su come difendere la Fornero e sul fatto che non si possono mandare in pensione prima le persone, forse bisognerebbe cominciare riflettere sul fatto che si mandano in pensione tante persone che i contributi non li hanno versati, la pensione non l’hanno maturata e allora cominciamo a togliere queste cose”, sono le parole di Belpietro che quindi si collegano al dibattito sulla riforma delle pensioni con Quota 100.
LA RICHIESTA SUI LAVORI DI CURA
In un post sulla pagina Facebook del Comitato Opzione donna social, Orietta Armiliato nota che la riforma delle pensioni con Quota 100 non sembra essere una misura “che ricalca le esigenze delle lavoratrici e non specificatamente in riferimento al requisito anagrafico, bensì a quello contributivo”. Una considerazione che porta a constatare che “se la possibilità di riconoscimento e valorizzazione del lavoro di cura che, naturalmente, non abbandoniamo, fosse andata a buon fine, ragionevolmente molte donne avrebbero invece avuto la possibilità di accedere a questa nuova misura”. Anche perché, aggiunge Armiliato, rispetto a Opzione donna non comporta il ricalcolo contributivo dell’assegno pensionistico ed è pertanto economicamente più vantaggiosa. “L’accredito di almeno un paio d’anni di contributi da aggiungere ai propri, sarebbero stati ‘una manna’ (naturalmente conquistata sul campo e non caduta dal cielo) per una buona parte della popolazione femminile: confidiamo nel futuro e nell’aiuto, di chi come noi ne comprende e/o ne comprenderà la portata”, è la conclusione di Armiliato.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI DI MEGLIO
“Le ferite inferte dalla legge Fornero a migliaia di insegnanti sono ancora da rimarginare e non vorremmo che la prossima riforma delle pensioni le acuisse ulteriormente”. Sono queste le parole di Rino Di Meglio riportate da tecnicadellascuola.it. Il coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, ha evidenziato non solo che ancora non si hanno dettagli precisi sulla Quota 100, ma che recentemente il Miur ha emanato una circolare “che fissa al 12 dicembre il termine ultimo per presentare la domanda di cessazione dal servizio, gelando così le speranze di quanti attendevano quota 100, o almeno l’opzione donna, per poter andare in pensione”. Dunque, sottolinea il sindacalista, “ancora una volta, come accaduto con la legge Fornero, i lavoratori della scuola risultano penalizzati e rischiano di rimanere a bocca asciutta perché i tempi di pensionamento sono basati sull’anno scolastico anziché su quello solare”.
Una situazione non certo piacevole che però, secondo Di Meglio, si può evitare. “Per scongiurare il rischio che si ripeta il copione andato in scena con la Fornero, che ha costretto moltissimi insegnanti che avevano già presentato domanda di pensionamento a restare in servizio ancora per 5 anni, chiediamo con forza al Governo che, in caso di approvazione della riforma, ai docenti venga assicurata la riapertura dei termini di scadenza”. Una clausola che si dovrebbe anche combinare con l’esigenza, sottolineata dal ministro Giulia Bongiorno, di far sì che nella Pubblica amministrazione non si creino vuoti di organico.