SALVINI: QUOTA 100 PER GLI STATALI A LUGLIO
In attesa che si chiarisca definitivamente quando arriverà il decreto relativo alla riforma delle pensioni con Quota 100, visto che ci sono indiscrezioni che parlano della sua approvazione a gennaio, un punto che sembra essere diventato importante è quello del pensionamento dei dipendenti pubblici. Matteo Salvini, secondo quanto riporta Il Messaggero, vorrebbe infatti fare in modo che non debbano aspettare fino a ottobre per accedere a Quota 100, ma che possano farlo già a luglio. C’è da dire tuttavia che avendo bloccato le assunzioni nella Pa fino a novembre diventerebbe difficile sostituire i lavoratori che andranno in pensione. Anche se il blocco riguarda le assunzioni a tempo indeterminato. Il rischio semmai sarebbe quello di dover effettuare più concorsi per i posti che risulteranno da riempire per garantire i servizi pubblici. Anche se la linea di Salvini dovesse passare c’è tuttavia da dire che nulla cambierebbe per chi lavora nella scuola: non riuscirebbe ad andare in pensione a settembre, a meno che non venga varata un’apposita norma per consentirlo.
RIZZETTO: DI MAIO COME LA FORNERO
Sulla sua pagina Facebook, Walter Rizzetto fa notare che Giuseppe Conte, nella sua informativa al Senato, ha spiegato che nella manovra, oltre alla riforma delle pensioni con Quota 100, ci saranno “misure di contenimento della spesa pensionistica che si sostanziano nel raffreddamento dello schema di indicizzazione dei trattamenti di più cospicuo importo”. Tuttavia, a ben guardare, già i pensionati che percepiscono 1.000 euro netti al mese si vedranno bloccati, per i prossimi tre anni, la piena indicizzazione degli assegni. Il deputato di Fratelli d’Italia evidenzia che il blocco della rivalutazione delle pensioni degli anni 2012-2013, introdotto con la Legge Fornero, “è già stato giudicato incostituzionale dalla sentenza della Corte Cost.. n. 70 del 10 marzo 2015 (depositata il 30 aprile 2015). Le pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo, e più precisamente le pensioni lorde superiori a 1.405,05 non sono state rivalutate negli anni 2012 e 2013”. Dunque, “Di Maio è esattamente come la Fornero, solo che lei pianse, lui cerca nel dizionario dei sinonimi e contrari come ingannare chi ci crede ancora”.
LA PROTESTA DEI SINDACATI
Giovanni Tria, ospite di 24Mattino, la trasmissione di Maria Latella e Oscar Giannino, in onda su Radio 24, ha parlato di uno dei provvedimenti della riforma delle pensioni che più sta facendo discutere: il taglio degli assegni più alti. “Parliamo di pensioni non basse, non d’oro, ma innanzitutto si tratta di un provvedimento temporaneo, anche perché se non lo fosse sarebbe incostituzionale. Si chiedono un po’ di sacrifici ma non molti. Quando si fa una redistribuzione del reddito, siccome non si creano soldi dal nulla, bisogna fare una scelta politica”, ha detto il ministro dell’Economia. I sindacati dei pensionati, invece, protestano contro il provvedimento che farà in modo che la rivalutazione degli assegni sopra i 1.500 euro lordi non sia piena. “Continua la vessazione dei pensionati. In tre anni la manovra sottrae 2,5 miliardi di euro dalle tasche dei pensionati intervenendo nuovamente sull’adeguamento delle pensioni all’inflazione. Ora diciamo basta. I pensionati faranno sentire la propria voce per denunciare l’ipocrisia del Governo che con una mano sembrerebbe dare ma con l’altra certamente toglie”, scrivono Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil in una nota, annunciando che le strutture, già durante le feste, “cominceranno a manifestare davanti a tutte le prefetture d’Italia”.
DECRETO PER QUOTA 100 A GENNAIO
Si attende per oggi la votazione al maxi emendamento sulla manovra in aula al Senato. Secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, “i decreti legge sul reddito di cittadinanza e per la riforma della legge Fornero sulle pensioni – inizialmente attese tra Natale e Capodanno – dovrebbero arrivare in Consiglio dei ministri a inizio gennaio”. Dunque la Legge di bilancio conterrà solamente lo stanziamento dei fondi per misure che però verranno definite a inizio 2019. Vedremo se prima ci sarà comunque la proroga dell’Ape social, visto che scade il 31 dicembre. Il Giornale riporta intanto le parole di Alberto Brambilla, secondo cui quota 100 e il taglio agli assegni d’oro “rischiano di causare un grosso costo alla collettività, trasferendo risorse dal lavoro all’assistenza e incoraggiando l’economia sommersa anziché il senso del dovere”. Qualcosa di simile a quanto detto da Vittorio Feltri, ospite della trasmissione “L’aria che tira” in onda su La 7. Il direttore di Libero ha infatti spiegato che a suo modo di vedere Salvini farà una figuraccia sulle pensioni visto che con il contributo di solidarietà si andranno a togliere risorse a chi ha lavorato una vita per dare soldi a chi ha versato pochi contributi tramite la pensione di cittadinanza.
GLI EFFETTI NEGATIVI SUL SISTEMA
“La ormai famosa quota 100 ossia per richiedere il pensionamento occorre la somma di 38 anni di contributi e 62 anni di età, manca ancora oggi di una definizione chiara ma soprattutto è già certa una ricaduta deleteria sul sistema pensionistico”. È quanto mette in evidenza Alessandra Servidori in un articolo dedicato alla principale misura di riforma delle pensioni pubblicato su formiche.net. Dal suo punto di vista, “la maggior parte delle persone che potranno aderire a quota 100 nel triennio 2019-2020-2021 (ammesso che sia strutturale la norma e appunto a termine) non vedrà l’ora di andare in pensione e l’impatto sarebbe difficilmente sostenibile – mentre dal 2022 la maggior parte di quelli che andranno in pensione avranno la quota più rilevante della pensione calcolata col sistema contributivo (il 65% dell’assegno) e quindi avrà un abbattimento reale del 20% rispetto alla quota maturata ai 67 anni. Il che significa che le persone ci ragioneranno un po’ di più”. Ricordiamo che, secondo quanto spiegato da Matteo Salvini, per i prossimi tre anni verranno stanziati 20 miliardi di euro per interventi di riforma delle pensioni.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI AMBROGIONI
Il contributo di solidarietà che verrà introdotto con la riforma delle pensioni 2019 non convince proprio la Confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità, il cui Presidente Giorgio Ambrogioni evidenzia “lo spirito punitivo e discriminatorio ai danni di una sola categoria” del provvedimento, che oltretutto “causerà perdita di gettito fiscale”. Commentando l’ultima versione del prelievo sulle cosiddette pensioni d’oro, in particolare mette in luce che “non c’è più traccia di un bilanciamento del prelievo che tenga conto della componente retributiva o contributiva dell’assegno, il che potrebbe tradursi in un taglio orizzontale sull’intera fascia reddituale calcolata nello scaglione”.
Secondo quanto riportato da Askanews, Ambrogioni ritiene che venga di fatto confermato “l’obiettivo di voler incassare una certa somma prefissata ai danni di una ben individuata categoria di pensionati, che vengono prima denigrati sui mass media e sui social e poi danneggiati nel loro reddito con uno ‘scippo’ imbellettato da giustificazioni egualitarie”. Inoltre, cosa più grave, “chi ha scritto l’emendamento in questione probabilmente non si è preoccupato di calcolarne gli effetti fiscali. Ovvero, se con questo prelievo si riduce il reddito imponibile, anche il relativo gettito subirà una decurtazione. Quindi, alla fine, lo Stato incasserà molto meno di quanto stimato”. In conclusione, “l’effetto finale di questa palese dimostrazione di incompetenza sia economica, sia legislativa è che si incassa il contributo, ma si riduce il gettito Irpef”.