Tra Scilla e Cariddi. Ecco, se al Governo ci fosse qualcuno che ha un minimo di cultura classica (settore dove davvero una volta Italians First), e non ci servirebbe un Leopardi ma basterebbe un qualunque studentello ginnasiale, ecco se al Governo qualcuno sapesse cosa sono Scilla e Cariddi, forse (diciamo forse) le cose andrebbero pure meglio. Non per la cultura classica, per l’Antologia Palatina o l’esametro spondaico, no ma per quei milioni di italiani che aspettavano una manovra utile, che rilanciasse le loro speranze di non sprofondare nel baratro dell’incertezza, scivolando verso la povertà.
Una volta avrei scritto, milioni di italiani poveri, ma siccome Giggino disse che il suo Governo ha abolito la povertà, non possiamo mica intraprendere una discussione teologico-social-economico-mistica con un siffatto visionario davanti alle cui affermazioni perfino i pastorelli di Fatima, assommati a Santa Bernadette e ai giovani di Medjugorje, sembrerebbero tutti aderenti all’Unione Atei Italiani.
Il punto è che com’era stato facilmente preventivato, e come sapevano tutti i normodotati di pensiero, fare un bilancio in perdita comportava quanto meno una discussione con l’Europa. E quindi le promesse di distribuire i soldi degli altri, i proclami sul fatto che questa fosse la Manovra del Popolo (maiuscole please!), si sarebbero scontrati con la cruda realtà, fatta di cifre, di tagli necessari, di Iva da calmierare. Certo poi Giggino ha imparato a fare l’imprenditore dal papà, e quindi se lo sbilancio è del 2,49%, noi arrotondiamo al 2,4% e siccome siamo convinti che a Bruxelles hanno tutti studiato per corrispondenza al doposcuola Radioelettra, siamo certi di fregarli.
Siccome poi anche i sindacalisti, si sa, hanno l’anello al naso, noi diciamo che la povertà è sconfitta, aboliamo il lavoro precario per decreto, gli promettiamo un incontro che poi vediamo quando si fa, e ci facciamo su una bella diretta Facebook.
Ormai però i nodi sono arrivati al pettine. L’Europa si fida così tanto di noi che ha rafforzato le clausole Iva: già c’erano, ma siccome le nostre cifre assomigliano a delle anguille, quelli là, cioè tutti i 27 partner europei, con l’ungherese Orban in testa ai paladini del sovranismo, si sono tutelati il loro portafogli rafforzandole. Ce lo aveva detto il notorio esponente della destra retriva greca, il premier Tsipras: fate voi prima che arrivino loro. E noi a sfidarli, e giù a prendere botte. Certo, come si diceva una volta: “Lui me ne ha date, perché me ne ha date, ma io gliene ho dette, quante gliene ho dette…”.
Ora che le rivalutazioni delle pensioni sono bloccate, che gli investimenti si sono ridotti al lumicino, che siamo in pesantissima contrazione economica, ora che la gente ha necessità di lavoro e soldi, ora che non può più vivere dei pagherò che Giggino fa piovere sul popolo italico, ora che i sindacati stanno organizzando quella che ha tutta l’aria di una protesta pesante, bene ora possiamo dirlo: questa manovra fa schifo (avremmo voluto, per la verità, fantozzeggiare, ma non sappiamo se le parolacce sono ammesse).
Il premier Conte il 10 dicembre incontrando i tre sindacati confederali aveva promesso, si era impegnato, aveva rassicurato: ci rivedremo e vedrete. Solo che deve esserci stato un problema di comunicazione: Cgil, Cisl e Uil avevano capito che il “vedrete” era riferito ai contenuti della manovra, mentre lui intendeva “vi vedrete tra di voi e non rompetemi più l’anima che mi devo dar da fare a cercare qualche lavoretto perché il futuro qui è incerto, ma per fortuna che Juncker mi ha promesso che mi sistema in una banca lussemburghese”.
Questione di parole, come sempre: loro parlano e gli italiani capiscono, ma mai quel che loro davvero intendono. Solo che gli italiani avranno pure loro studiato al doposcuola Elettra per corrispondenza, ma le tabelline e la matematica l’hanno imparato alle elementari dalle mitiche maestre tricolori, quelle che fondano il nostro benamato Paese. E se a fine mese le colonnine del dare-avere familiare sono sempre in rosso, se i soldi sono sempre meno, allora si inizia ad agitarsi. E gli italiani con una mano votano giallo-verde, con l’altra protestano, e con l’altra ancora si iscrivono al sindacato per chiedere protezione. Ebbene sì, avete capito, noi italiani abbiamo tre mani. Siamo o no il popolo dei santi, dei poeti e dei navigatori, oltre che dei miracoli?
Ma Giggino e soci non hanno capito: qui mica siamo in Ungheria dove si delega tutto al Governo e ti ritrovi ad essere pagato tra 3 anni per il lavoro straordinario fatto oggi. Si delega sì, ma ci si premura di mettere in piedi delle contromisure: perché non si sa mai. E i sindacati sono queste contromisure. Contestazione arrivata in ritardo? Ormai la Manovra Sul Popolo (non ho sbagliato preposizione articolata, l’ho proprio cambiata) è andata? I senatori e i deputati sono in marcia verso i panettoni natalizi? Embé? Mica è la prima volta che Cgil, Cisl e Uil si trovano di fronte a questa situazione bizzarra. Perché in fondo se la storia non è più magistra vitae, rimane ancora una bella palestra di vita: e chi da 70 anni (e più) combatte e lavora per il bene della gente e per redistribuire reddito, mica si fa prendere dallo sconforto davanti a proclami bizzarri e messaggi farlocchi.
Fare cassa con le pensioni? Niente investimenti per il lavoro e lo sviluppo? Riciclaggio di provvedimenti di precedenti governi e promesse di immissioni di denaro che non esiste? Gonfiaggio delle entrate e sottostima delle uscite? Ma non ci sentite un’aria, come dire, “nota”? Non è tutta roba “già vista”? Ecco perché in fondo i sindacati hanno pure fatto bene ad aspettare: perché non servivano le lauree economico-social-politiche dei professoroni universitari pronti a saltare sul carro del vincitore del momento per portare a casa una nomina qualunque, per sapere che se spendi soldi che non hai, fai dei debiti; e che se li spendi per fare il veglione, inizi l’anno successivo con più debiti di prima; che se fai a pugni con gente più grossa di te prima le prendi e poi devi pure chiedere scusa. Bastavano l’oratorio e la Radioscuola Elettra. Quelle che abbiamo frequentato noi, che non siamo né ministri né esperti, e che abbiamo fatto le elementari a Cadorago, provincia di Como. A proposito: la nostra maestra si chiamava Gigina, e lei i conti li sapeva fare e ce li ha insegnati per bene.