Come noto, nel contratto per il Governo del cambiamento si prevede il lancio dell’ormai “famoso” reddito di cittadinanza anche nel nostro Paese. In quel documento si chiarisce però che la misura partirà per step successivi. In una prima fase verrà, infatti, posta l’enfasi sulla necessità di rafforzare i Centri per l’impiego in modo da agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e solo successivamente verrà erogato il sostegno economico vero e proprio.
In questo quadro a partire dal 2019 le regioni saranno autorizzate ad assumere fino a 4.000 unità di personale da destinare ai Centri per l’impiego. La spesa prevista ammonterà a 120 milioni per il prossimo anno e a 160 milioni a partire dal 2020. Questo è, almeno, quanto previsto in uno dei 56 emendamenti alla legge di bilancio presentati dai relatori in commissione Bilancio alla Camera.
Su questo terreno, è opportuno sottolinearlo, anche le Regioni avevano sostenuto di essere d’accordo con il vice-premier, e ministro del Lavoro, Di Maio sul fatto di riconoscere i servizi dell’impiego come un’infrastruttura primaria del mercato del lavoro, ma avevano evidenziato che occorresse, in questa prospettiva, che le risorse umane dei centri fossero almeno raddoppiate rispetto alle ottomila unità che, a oggi, sono impiegate, in modo stabile. Le stesse amministrazioni rilevavano, inoltre, come, in questo contesto, il fattore tempo rappresentasse un elemento fondamentale per la riuscita del processo, anche in relazione all’impegno aggiuntivo che, si prevede, sarà richiesto ai Centri per l’impiego con l’introduzione (?) del reddito di cittadinanza.
Nello specifico, poi, le regioni chiedevano di individuare modalità fluide per l’inserimento del personale e una profonda modernizzazione tecnologica che per molte strutture rappresenta, insieme alle esigenze formative, una priorità.
L’auspicio, in ogni caso, è che il processo non si limiti al potenziamento delle strutture pubbliche con l’inserimento, non più procrastinabile, di forze fresche nel sistema, ma che si continui, anche, nello sforzo, partendo dalle migliori esperienze realizzatesi, di rafforzare la collaborazione con le Agenzie per il lavoro private e con il terzo settore (si pensi, a titolo meramente esemplificativo ai patronati).
La sfida, infatti, contro la povertà, e l’esclusione sociale, insita nell’istituto del reddito di cittadinanza non potrà essere condotta (anche se, probabilmente, non potrà essere vinta), in solitario, da uno Stato che torna a essere “collocatore”, ma solamente da un sistema-Paese in grado di mettere in campo le sue energie, e professionalità, migliori.