Un piccolo grande uomo si aggira per quella stretta viuzza che costeggiando palazzo Chigi mette in comunicazione, a Roma, piazza Colonna e piazza Montecitorio con piazza del Parlamento: un’area che rappresenta in massima parte, anche se non totalmente, il centro della vita politico-istituzionale italiana. Lo sapete come si chiama quella viuzza monitorata giorno e notte dai Carabinieri nelle loro due garitte? Via dell’Impresa. E lo sapete qual è il nome di quell’uomo, visto ultimamente muoversi di giorno con una lanterna accesa? Diogene di Sinope risponderebbe, bruciando in velocità molti, il liceale che sta sgobbando sui libri. Vero, ma arcaico. Perché quell’uomo, al presente, si chiama Giovanni Tria ministro, capo del Mef. Si aggira cercando quei miliardi di euro che la Commissione, organo di governo dell’Unione europea, non vuole. Di contralto vi insistono i due vicepremier che prima li giuravano intoccabili perché appartenevano alla manovra del popolo condotta dal Governo del cambiamento (qualcuno su Twitter ha creato l’hashtag #governodelcambiamentoinpeggio) per realizzare le riforme strutturali.
Riforme delle pensioni della legge Fornero, della lotta alla povertà, all’ingiustizia che porta all’esclusione sociale, alla pesante onerosità fiscale. Premesso che tutti i nobili propositi sono da condividere, che obiettivi posti in linea con il dettato costituzionale, come ricordato da Mattarella, vanno perseguiti, che lo si voglia o no l’ingranaggio montato da due, senz’altro abili, orologiai, ma tuttavia con materiali, capacità e maestranze inadeguate, si sta sempre più inceppando e rischia di bloccarsi del tutto. Rischia, ancor peggio, di bloccare non solo un’esperienza di governo, ma l’intero Paese.
Un vecchio adagio recita che la via verso l’inferno è spesso lastricata di buone intenzioni. Altro che riforme strutturali! Vediamole queste buone intenzioni con una carrellata che va dalla microeconomia alla macroeconomia.
1) Pensioni d’oro. Cominciamo da Boeri, che qualche grossa responsabilità ce l’ha con un Inps che s’imbelletta di buste arancioni, ma esce con le toppe al sedere per gli Ecocert definitivi e per garantire pensioni effettive a sessanta giorni, nell’ultimo quadrimestre di ogni anno. Che c’entra Boeri? C’entra perché dai suoi staff sono usciti i miracoli del ricalcolo contributivo e dell’uscita anticipata con la riproiezione retroattiva dell’attuale soglia di vecchiaia adottati da Di Maio e Salvini per le pensioni d’oro (tanto il gioco dei due poliziotti buono e cattivo saliti ora a tre è vecchio). Miracoli impossibili, giuridicamente scamuffi e quindi abbandonati a favore del più lineare contributo di solidarietà progressivo. Attenzione però al Diogene Tria che cerca denaro, anziché l’uomo (ricerca difficile in un’era di caporali che sentono gli dei a loro immagine), a esso si oppone uno switch “fantasioso e creativo” tra il taglio Ue e tenere il punto del contratto: l’annuncio di un prelievo dal 25% al 40%.
2) Salvini e l’Adamello. Con un ministro dell’Interno che ama farsi riprendere nelle più svariate, ancorché finora contenute, mises militaresche, Quota 100 è come l’Adamello. S’ha da fare. Inutile dire che lo stesso che predica bene sull’ascolto della gente e che asserisce di non aver trovato alcuno che possa dimostrargli che la legge 201/2011 cosiddetta Fornero non sia da smantellare, rifugga da mesi qualsiasi confronto pubblico, come quello cui l’ha invitato il sottoscritto. Salvini e i suoi non capiscono come coniugare flessibilità e uscita anticipata. Negli uffici di Boeri qualche solerte funzionario asserisce con orgoglio che Quota 100 è stata scritta all’interno dell’Inps e che il meccanismo delle finestre è un adeguato fattore di equilibrio.
Ahimè temo che se nel provvedimento o emendamento prossimo futuro fosse inserita la norma che la prima finestra vada retroattivamente applicata anche a coloro che hanno maturato il diritto da Ecocert entro e non oltre il 31 dicembre 2018, cioè a legislazione 201/2011 vigente, i tribunali, a iniziare da quello amministrativo Inps, avranno il loro bel granché oneroso da fare. Quota 100 leghista moneta di scambio sulla diminuzione della disoccupazione di promessa pentastellata non tiene conto del ciclo di funzionamento delle imprese. È una scommessa di pelle a un tavolo di gioco dove le carte girano anche in altro modo.
Potrei continuare, e se volete lo faccio in una prossima puntata, anche se molte delle cose dette qui sono state già anticipate su queste pagine e su Twitter (@Cardarellimario e @Popolari_p) da mesi, settimane, giorni. In ogni caso il Governo una partita può vincerla se paragona il costo e l’onere (e aggiungo l’onta) che fa subire al Paese da una reprimenda sanzionatoria Ue a quello di riconoscere con umiltà errori e percorsi inadeguati, adottando le dovute correzioni senza il timore di perdere la faccia. Timore tuttavia pernicioso come dimostra proprio il caso delle pensioni d’oro, dove non potendo andare a deficit altrove, si infila mano nella tasca degli italiani, anche se non molti.
Si badi bene. Qui non si vogliono difendere i privilegi, ma mettere in attenzione una pratica comune a molti e non solo ai politici: quella di voler a tutti i costi voler avere ragione. È dietro questo tipo di ragione che si nascondono patrimoniale, allargamento delle platee di redditi da colpire, ecc. È come diceva quel vecchio adagio sopra citato. Attenzione quindi, e il Rapporto Censis va ben inteso. Ove si sbagliasse e si continuasse a sbagliare direzione la piazza non è quella che Salvini e Di Maio si cuciono su misura in questi giorni. La piazza quella vera, quella della gente che lavora e paga le tasse, quella degli studenti che cercano di individuare l’orizzonte delle loro aspettative potrebbe risvegliarsi ben più di quanto successo ultimamente a Torino. E far impallidire ancor più gilet già giallo pallido.