La passata legislatura ha visto una forte attenzione e accesi dibattiti intorno al tema del lavoro. Le riforme introdotte con il Jobs Act hanno determinato una svolta nelle politiche del lavoro. Il superamento dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ha provocato lacerazioni nella sinistra, ma anche la destra statalista e populista ha cavalcato le proteste. Il passaggio ai contratti a tutele crescenti per i nuovi assunti non è stata però l’unica innovazione. Anche il tradizionale sistema degli ammortizzatori sociali ha subìto una radicale trasformazione per passare da difesa del posto di lavoro a un sistema di sostegni al reddito che tuteli il lavoratore, coprendo sia occupati che disoccupati, e favorendo la mobilità. “Terza gamba” della riforma, l’avvio di un sistema di servizi al lavoro che vuole avviare con l’assegno di ricollocazione un modello di servizi, pubblici e privati, che si prendono in carico la ricerca di nuova occupazione attraverso percorsi personalizzati di formazione rivolti ai disoccupati.
L’insieme delle politiche avviate con il Jobs Act ha quindi ridisegnato le regole fondamentali del mercato del lavoro e a queste si sono aggiunte riforme sul lavoro autonomo, sulla formazione professionale, sul lavoro agile e lo smart working. Un profondo processo di modernizzazione che ha al centro la volontà di adeguare tutele e diritti al lavoro che cambia e non invece ingessare il mercato del lavoro attraverso vincoli e divieti come nel sistema tayloristico ormai superato dai cambiamenti produttivi in corso.
Con l’avvio della campagna elettorale, il tema del lavoro mantiene quindi una sua centralità. Per i diversi schieramenti in campo vi sono certo tematiche con cui confrontarsi. Sia che si consideri quanto fatto una base di partenza o che si intenda riavviare un sistema diverso non è possibile eludere il tema. Anche perché è troppo evidente che la ripresa economica ha già creato un milione di nuovi posti di lavoro. Da questo dato reale si può ritenere che quanto fatto è stato determinante per assicurare questo risultato. Si può sottolineare che i nuovi posti sono però a termine e con salari medi più bassi. O addirittura arrivare a sostenere che con le vecchie regole avremmo avuto risultati migliori. Ma comunque il tema è ineludibile. Vediamo allora come il tema lavoro è affrontato nei programmi elettorali delle principali forze politiche.
Gli scissionisti del Pd sostengono che proprio sulla concezione del lavoro si è creata la principale frattura che li ha indotti a lasciare il loro partito e dare vita a una nuova forza politica. Per questo il loro programma prevede di tornare all’art. 18 e sostanzialmente smontare tutto l’apparato di riforme introdotto con il Jobs Act. Forte la parte destruens ma scarse le proposte per il futuro e legate più alle richieste sindacali che a una nuova idea di riforma del mercato del lavoro.
Il Movimento 5 stelle da una visione analoga. Propone di abolire tutto ciò che è stato fatto in ragione di rifare tutto meglio, ma nulla dice su cosa sia il meglio. Peraltro le dichiarazioni del loro leader di governo cambiano a seconda degli interlocutori cui si rivolge, per cui ha proposto tutto e il contrario di tutto se parlava in sede Confindustria o a un incontro con i lavoratori.
Pd e centrodestra hanno presentato documenti programmatici formali e con elenchi di proposte. Il programma del centrodestra è pubblicato con tanto di firme di sottoscrizione da parte di Meloni, Salvini e Berlusconi. La quarta gamba centrista non è stata coinvolta e, almeno dalle dichiarazioni lette, pare avanzare proposte molto diverse da quelle indicate dal programma dei tre principali leader. Il programma del centrodestra è per punti molto succinti e, legando lavoro e welfare, possiamo riassumerlo in sintesi con azzeramento della Legge Fornero per rifare il sistema pensionistico e più investimenti per creare sviluppo e quindi occupazione. Nel programma scritto vi sono alcuni punti generici che si riferiscono esplicitamente al lavoro e sono “l’obiettivo della piena occupazione per i giovani attraverso stages, lavoro e formazione” e la “tutela del lavoro delle giovani madri”.
Non compaiono proposte specifiche relative a quanto introdotto dal Jobs Act. Anche se sono ricorrenti dichiarazioni di diversi esponenti del centrodestra contro il Jobs Act, in generale si tratta per lo più di posizioni motivate solo da opposizione pregiudiziale con quanto fatto dai governi Renzi-Gentiloni e non appaiono mai sostenute da idee alternative. Solo Berlusconi ha avanzato una proposta a sostegno dell’occupazione giovanile con l’allargamento e l’estensione della decontribuzione per le assunzioni dei giovani con contratti a tempo indeterminato. Nulla è detto rispetto ai nuovi percorsi del sistema duale. Addirittura si cita “il rilancio della università italiana per farla tornare piattaforma primaria della formazione” senza accennare nulla sui nuovi Its per la formazione terziaria di nuove figure tecniche superiori.
Venendo al programma Pd si coglie che quanto è stato fatto è base per un disegno organico di una strategia che prevede nella prossima legislatura di proseguire un percorso. Le cinque priorità indicate sono: fissare un salario minimo per favorire la crescita delle retribuzioni attraverso contrattazione di secondo livello e aumenti della produttività; diminuzione del costo del lavoro per sostenere ulteriormente i lavori a tempo indeterminato, ma anche l’estensione delle tutele per il lavoro autonomo; impegno ad aumentare il tasso di occupazione femminile con misure che favoriscano il rientro post maternità; insistere per associare la transizione scuola-lavoro sia con l’estensione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, sia con l’estensione dei percorsi duali; infine lavorare sulle competenze per facilitare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro con un piano di formazione tecnica parallela ai percorsi scolastici e formazione 4.0 per gli occupati.
Si tratta di un insieme di obiettivi articolati, con proposte mirate e valutazione delle risorse inspiegabili. Novità sono il sostegno economico per i giovani che escono della famiglia prima dei 30 anni e i sostegni economici per la famiglia sia per i servizi fino ai 3 anni, sia con più consistenti deduzioni del reddito per i figli fino ai 26 anni.
Chi scrive ha le sue opinioni che non vuole ripetere qui. Si vuole indicare però come la cultura del lavoro e la valutazione dei cambiamenti in corso si è riversata nello scontro elettorale. Ognuno tragga poi il proprio giudizio.