Oggi il Presidente dell’Inps, Tito Boeri, presenterà una procedura di simulazione on line grazie alla quale le persone interessate potranno valutare – facendo valere i requisiti previsti: 63 anni di età e 20 di contributi; una pensione, al momento della richiesta, non inferiore a 1,4 volte il trattamento minimo Inps (cioè circa 702,65 euro al mese) al netto della rata di ammortamento – la “convenienza” (o meno) di aderire all’Ape volontario: un prestito, esente da imposte e contribuzione sociale, da restituire in rate ventennali a carico della pensione; in sostanza, un reddito-ponte a disposizione dei lavoratori che decidono di anticipare l’uscita dal lavoro fino a tre anni e sette mesi prima di aver maturato il diritto al trattamento di vecchiaia.
La misura parte con un significativo ritardo, in quanto la sua entrata in vigore era prevista per il 1° maggio 2017 (la maturazione dei requisiti decorre, tuttavia, da quella data). Evidentemente vi sono state delle difficoltà nell’organizzare gli operatori e predisporre le intese occorrenti per dare corso alla prestazione. Non si tratta, infatti, di un meccanismo vincolante per gli istituti di credito e le compagnie di assicurazione chiamate a svolgere un ruolo fondamentale nell’operazione ma con criteri di mercato. Non a caso hanno aderito all’Ape volontario solo due banche, ancorché importanti: Unicredit e Intesa. Si è dovuto poi attendere che l’Abi comunicasse i tassi. A conclusione delle procedure – non si dimentichi che l’intera partita dell’Ape nelle sue diverse tipologie resta sperimentale – il tasso annuo effettivo globale (Taeg), sarà compreso tra il 5,89% e il 6,23% (lordo), legato alla durata dell’anticipo. Il costo effettivo del prestito, però è condizionato da altre variabili, come ad esempio la detrazione fiscale del 50%, che riduce gli interessi.
Da tenere in considerazione anche il costo della polizza assicurativa, a copertura dei casi di decesso prematuro (poiché le rate residue del prestito non si scaricano sugli eredi). Considerando le detrazioni, quindi, il consigliere economico del governo Stefano Patriarca ha dichiarato che il Taeg effettivo annuale, comprensivo di tutti i costi, sarà pari al 3,3% fisso per 20 anni. I costi, inoltre, incideranno sulla pensione per un onere compreso tra l’1,4 e l’1,6% per ogni anno di anticipo.
Nei giorni scorsi il quotidiano La Repubblica (attraverso un’elaborazione su dati del Nucleo tecnico di Palazzo Chigi: il che conferisce ai dati stessi una patina di ufficialità) ha pubblicato delle stime sui possibili oneri che graverebbero sugli utenti dell’Ape volontario. Il servizio sviluppa diversi casi parametrati sia sull’importo della pensione che sul periodo di anticipo (è evidente che avvalersi del reddito-ponte per un solo anno di anticipo “costa” meno che usufruire di tutto il periodo).
Nell’economia di questo scritto, per dare un’idea della “convenienza” (o meno) dell’accesso al prestito, è utile “massimizzare” i numeri. L’esempio è quello di un dirigente di 64 anni che richiede l’Ape per 36 mesi (si ricordi che alla persona in regime di Ape volontario non è precluso di continuare a lavorare), quanti lo separano dalla quiescenza. A fronte di una pensione mensile netta di 3mila euro, il dirigente ne incassa 2,5mila per ogni mese di durata del prestito. Quando andrà a percepire la pensione, subirà una ritenuta ventennale lorda mensile di 623 euro di cui 139 come bonus fiscale da detrarre. Di conseguenza, la rata netta mensile sarà pari a 484 euro per 20 anni (e la pensione di 2.516 euro). Tirando le somme, il dirigente avrà ricevuto 81mila euro di Ape, riscuoterà per la pensione residua, dal 67° anno, 664mila euro e ne dovrà restituire 116mila (il capitale + 35mila di interessi). Ognuno farà i conti con le proprie tasche: di certo questo prestito (del quale è l’Inps il regista e il “garante”) è più conveniente di altri che vengono offerti tutti i giorni ai pensionati.
Insieme con l’Ape volontario è partito anche la Rita, che consente di sfruttare il capitale accumulato presso la previdenza complementare per ottenere una rendita mensile che accompagni il lavoratore fino al raggiungimento della pensione. I requisiti previsti sono i seguenti: cessazione dell’attività lavorativa, massimo cinque anni dal raggiungimento della pensione di vecchiaia prevista dal regime previdenziale di appartenenza, almeno 20 anni di contributi obbligatori, e almeno cinque anni di versamenti al fondo complementare. Per i lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi, la Rita può essere percepito a distanza di dieci anni dalla maturazione della pensione di vecchiaia.