In questi ultimi duri anni di crisi il Governo, in particolare il ministero per lo Sviluppo economico guidato da Carlo Calenda, ha messo in campo un insieme articolato di strumenti per fronteggiare le diverse tipologie di crisi industriale, da quelle relative alle singole imprese fino a situazioni di difficoltà più complesse che coinvolgono intere aree o settori produttivi di interesse strategico per lo sviluppo del Paese. Si pensi alle azioni realizzate nei confronti delle aree di crisi industriale complessa, ossia quei territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale e con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, non risolvibili, ovviamente, con risorse e strumenti di sola competenza regionale.



In questo contesto è stata così istituita la Struttura per le Crisi d’Impresa con l’obiettivo di sviluppare strumenti di contrasto al declino dell’apparato produttivo italiano. Se si guarda, quindi, alle dinamiche che hanno coinvolto i vari tavoli di lavoro attivati negli anni emerge come abbiamo assistito, ad esempio, a una crisi sistemica (con la presenza della quasi totalità del settore) dell’elettrodomestico.



Allo stesso modo si è assisto a una crescita rilevante dell’incidenza delle crisi nel settore della siderurgia nel biennio dal 2016 al 2017 così come negli anni 2012-2014 il settore Ict era stato costantemente presente ai tavoli di crisi e a alla scomparsa da tali riunioni dell’automotive a partire dalla fine del 2014. Una menzione particolare lo merita poi certamente il settore call entrato prepotentemente nei tavoli nel 2015 e progressivamente uscitovi. Nel complesso, come evidenzia lo stesso ministero, il principale fattore che ha determinato le difficoltà delle aziende è stata la crisi di mercato e la relativa contrazione dei volumi (in media del 20%).



In questo quadro d’insieme va letta la vicenda, di stringente attualità, legata agli stabilimenti, e ovviamente, ai lavoratori di Embraco, un’azienda brasiliana, controllata dalla multinazionale statunitense Whirlpool, specializzata nella fabbricazione di frigoriferi. Abbiamo assistito, infatti, a partire dal 2004 all’annuncio di esubero di lavoratori. La situazione è, tuttavia, precipitata nel novembre dello scorso, quando l’azienda rese nota l’intenzione di ridurre ulteriormente il numero dei dipendenti con un annuncio che sembrava, ahimè, il preludio allo spostamento dell’intera produzione in Slovacchia. Il Governo, in questa situazione, chiese di scongiurare i licenziamenti, proponendo di trasformarli in cassa integrazione con la speranza di prendere tempo per poter negoziare ancora con Embraco.

Le vicende degli ultimi giorni, in particolare, non sembrano essere segnali confortanti per il futuro dei lavoratori che operano negli stabilimenti italiani. La crisi, insomma, ci consegna, a prescindere dalla situazione specifica, un Paese molto trasformato dal punto di vista del tessuto industriale. Starà al Governo che verrà confrontarsi, quindi, con le sfide che questo nuovo quadro ci pone. Quale ricetta ritengono gli italiani più convincente a fare ciò? Lo sapremo la sera del 4 marzo che rappresenterà, è bene ricordarlo, non la fine di una fase, ma, solamente, l’inizio di un nuovo percorso e di un rinnovato, e necessario, dialogo tra le forze politiche, produttive e sociali del nostro Paese.