Non è che ci indovini sempre, e anche in passato per una scommessa vinta se ne contavano tre perse. Poi, in ogni caso, come spesso succede chi vien dopo scarica le proprie inefficienze su chi c’era prima (scommettiamo che i fautori della flat tax se andranno al Governo ne rinvieranno l’applicazione al grido di “abbiamo scoperto che i conti dello Stato sono peggiori di quanto ci hanno mai detto e bisognerà aspettare appena li risistemiamo?”). Ma questa volta no, stavolta il buon Prodi ha proprio ragione. E se ce l’ha, ce l’ha.
Caso Embraco: 500 dipendenti a casa, l’azienda, di proprietà di una multinazionale, la Whirlpool, è smantellata e tradotta, nel senso proprio della “tradotta ferroviaria” a Est, in quella lontana Slovacchia che è al centro dell’Europa, che fa da perfetto baricentro per il sistema produttivo tedesco e quello nord ed est europeo, che è a un passo dalla nascente linea ferroviaria che collegherà, da qui a poco, Belgrado con Pechino. Usando i fondi europei, questa l’accusa neanche troppo velata che viene rivolta sia alla Embraco, ma soprattutto all’Europa, ci portano via il lavoro.
Per una volta non vogliamo concentrarci sulla questione della formazione continua e del reinserimento dei lavoratori, anche se paradossalmente ma non troppo, il dramma di quelle 500 persone dimostra che proprio di questo c’è bisogno, e non di salari minimi o “mance di dignità”. No, vogliamo invece provare a ragionare dell’altro corno della questione, cioè l’uso dei fondi europei.
Ogni anno Bruxelles distribuisce, attraverso piani programmatici, fondi cospicuamente dotati, centinaia di miliardi che gli Stati, le Regioni, in parte direttamente la capitale belga, servono per finanziare industrie, piani di sviluppo (porti, strade, linee ferroviarie), formazione lavoro, piani sociali, ma anche associazioni. Beh, questo si sapeva, direte voi: sì si sapeva ma ogni tanto ce lo dimentichiamo, e in una sorta di dannazione della memoria, cominciamo la tiritera sull’Europa che è matrigna, brutta e cattiva. Ci succhia soldi e non ci restituisce nulla.
Ma, e qui non possiamo che dar ragione al buon mitico “Mortadella”, la questione non è che non c’è l’Europa o questa è brutta e cattiva, ma che il sistema attuale è un sistema puramente economico-burocratico, nel quale la visione politica delle scelte si ferma al momento della distribuzione dei soldi. Perché sia chiaro che i soldi arrivano, e tanti, anche in Italia. Almeno fino a oggi. Il problema è che noi facciamo scelte economiche e produttive in una direzione o nell’altra e non sempre queste scelte coincidono con gli interessi delle aziende.
Tanto per fare un esempio: in Sardegna gruppi di produttori agricoli hanno deciso di restituire le tessere elettorali ai loro comuni. Perché? Perché da anni stanno aspettando i soldi di un fondo europeo loro destinato. Il fatto è che tra Bruxelles e Cagliari non solo c’è un sacco di spazio, ma ci sta pure un mare, e che i fondi sono partiti a tempo dal Belgio, ma poi… Poi hanno faticato a trovare la via di casa e orfanelli ancora vagolavano. Un caso e un esempio, ma millanta se ne potrebbero fare, dal momento che è invalso l’uso di scaricare le nostre inefficienze sulla Comunità europea. Facile bersaglio per frecce e freccette di ogni tipo.
Solo che, ad esempio, in mezzo a mille casini, tra sassate (per fortuna solo metaforiche) e polemiche, garbate, Francia, Germania e Spagna hanno già deciso di lavorare perché entro il 2018 si svolgano consultazioni, vaste e il più coinvolgenti possibili, in ogni Stato, in merito alla proposta che sta venendo avanti, di costituire dei veri ministri europei in materia di Difesa ed Economia. È vero che noi facciamo avanti e indietro e purtroppo il Bel Paese lo frequentiamo un po’ meno che nel passato, è vero che questo non ci consente di seguire con attenzione quei fantasmagorici spettacoli che sono i diversi salotti televisivi, è vero che abbiamo ascoltato poche serate di confronto tra i candidati, ma ci è sfuggito che qualche candidato, qualche esponente politico, ci abbia fatto sapere cosa ne pensa a tal proposito.
Perché un ministro della Difesa significa investimenti, assunzioni, gestione di sistemi industriali di punta, finanziamenti a centri di ricerca, università. Un ministro dell’Economia significa un bilancio, scelte strategiche su spese e investimenti. Magari anche qualche tassa europea. Già, ma se gli altri si muovono e gestiscono il futuro e noi invece ci ripieghiamo su noi stessi e ci guardiamo ammirati l’ombelico, con pure bei rigurgiti degli anni di piombo, non è che poi possiamo scaricare le colpe su loro.
Oggi una parte consistentissima del nostro destino si gioca tra le grigie e un po’ tristi strade della Vallonia: prenderne atto il più in fretta possibile ci eviterà anche tanti errori. Come quello di prendere un presidente del Parlamento europeo per farne un traballante Primo ministro italiano…
Con ciò sia chiaro che la Whirlpool ha fatto una scelta folle, scaricando costi sociali e ragionando a corto raggio. Ma se pensiamo che la multinazionale ha anche altre aziende in Italia, e che finché queste sono redditizie, organizzativamente adeguate, sfornano prodotti vendibili sul mercato, è presumibile che non saranno spostate, allora di ciò cosa dovremo dire sull’Europa o sullo Stato italiano? E quando da fuori dei nostri confini vengono aziende in Italia? Ci pensiamo, noi che siamo pronti a criticare tutto e tutti, che a quel punto in qualche parte del mondo magari qualcuno sta perdendo il lavoro?
Smettiamola quindi di scaricare elettoralmente i problemi nostrani sull’Europa, ma proviamo a governarla. Perché l’Unione europea resta pur sempre la più straordinaria invenzione politica mondiale degli ultimi cento anni. E anche perché un’alternativa all’Europa c’è, ma si chiama Cina!