La trattativa tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil in merito all’accordo generale, la cui firma si aspettava a cavallo dello scorso Natale, è finalmente volta al termine. Ieri mattina le Parti hanno annunciato l’intesa, i cui punti salienti – come da tempo scriviamo su queste pagine – sono due: assetti contrattuali e rappresentanza. Si tratta per ora di un’ipotesi di accordo che, dopo un passaggio negli organismi competenti, sarà finalizzata la prossima settimana (9 marzo). E, sentite le dichiarazioni delle segreterie generali, si tende a escludere possibili dietrofront.
Per quanto riguarda il modello contrattuale, naturalmente non ci sono novità rivoluzionarie e non potevano esserci visto che l’accordo arriva dopo che i contratti di settore sono stati rinnovati quasi tutti. Le novità, non sostanziali, stanno nel Tem (Trattamento economico minimo) e nel Tec (Trattamento economico complessivo), elementi certi di ogni contratto per stabilire minimi validi in tutto il settore e valorizzare quelle voci retributive (scatti, Edr, elemento perequativo, previdenza complementare, welfare) di cui vive la contrattazione.
Circa i criteri di rappresentatività, le Parti si avviano unitariamente non solo alla definizione degli stessi – anche per la parte datoriale, e questa è una novità assoluta -, ma anche al possibile recepimento del legislatore di un avviso comune o disegno di legge. Naturalmente, l’obiettivo è quello di realizzare l’efficacia erga omnes dei contratti con una legge sulla rappresentanza visto che, a oggi, sono 868 i contratti depositati al Cnel di cui 500 presentano minimi retributivi più bassi del 30% rispetto a quanto definito nel perimetro delle Confederazioni maggioritarie. Da questo punto di vista, il Testo Unico sulla Rappresentanza (2014) ha avuto un effetto molto debole e, a questo punto, solo la legge può sanare questo vulnus fissando una volta per tutte criteri e requisiti minimi di rappresentatività.
Non siamo in presenza di una rivoluzione copernicana delle relazioni industriali, va tuttavia richiamata l’importanza di questo accordo che innanzitutto – a pochi giorni dalla fine di una delle peggiori campagne elettorali che la storia ricordi – mostra quanto il sindacato sia messo un po’ meglio della politica; in secondo luogo, la contrattazione è sempre più fattore strategico per il mercato: ecco che dare certezza a chi contratta sarà fatto determinante, anche in virtù della trasformazione di Industry4.0: politiche attive, formazione continua e welfare contrattuale più in generale saranno aspetti decisivi del prossimo decennio. Va detto che anche la politica ha costruito in questo senso un ponte importante (piano Calenda e detassazione salario di produttività), volto a rafforzare il lavoro delle Parti per crescere innovazione, efficenza, produttività e competitività delle imprese.
Un passo in avanti, in sintesi, certamente utile per il sistema. Ma fino a quando il decisore politico non interverrà sull’economia in modo strutturale – leggi riforma fiscale – il sistema imprese continuerà a faticare. Siamo all’inizio di una legislatura, il momento è propizio. Non a caso c’è chi sventola la bandiera della Flat Tax. Al di là del fatto che sulla soluzione si può discutere, auspichiamo che l’argomento finisca presto al centro dell’agenda politica. Un serio intervento sul fisco potrebbe rilanciare le imprese e il ruolo di chi contratta e produrre davvero un cambio di passo.
Twitter: @sabella_thinkin