Ci sono momenti in cui oggettivamente nascere in Italia significa aver pescato il biglietto della lotteria. Ce ne sono altri, molto più seri, in cui invece sembra di aver accumulato in qualche vita passata una tale serie di nefandezze che pagarle tutte in una volta sola ti fa passare la voglia di essere cattivo. Siccome però noi alla metempsicosi non ci crediamo, e cominciamo ad averne un po’ piena la scuffia delle inesauribili barzellette elettoralistiche, proviamo a metterci seriamente a riflettere sull’ultimo cadeau pasquale targato Salvini. Ovverosia, la risposta verde alla miseria nera.



In effetti questi sono momenti di proposte effervescenti e mica perché, come potrebbe pensare qualche moralista da pochi soldi, dopo le promesse è l’ora del Governo. No, il dato vero è che i vari millantatori in servizio permanente effettivo, che ci hanno spiegato per intere settimane quale sarebbe stata la strada verso il Paradiso, ora che le elezioni sono finite stanno iniziando a ritarare (non ritirare, ma proprio ritarare), le promesse elettorali. Al ritmo di una dichiarazione alla settimana il Reddito di cittadinanza è divenuto il Reddito finalizzato alla cittadinanza, poi è sparito il Reddito è rimasta la cittadinanza, e infine è sparita anche questa e si è scoperto che gli 800/1000 eurini al mese sarebbero stati finalizzati a percorsi di inserimento lavorativo guidati dai mitici Uffici di collocamento.



Al che ogni italiano normodotato, e sono la stragrande maggioranza, ha cominciato a chiedersi: ma cosa cambia allora? Cambia che se sei disoccupato e non hai la Naspi o la Aanspi (poi ci si chiede perché il Pd ha perso: ma chi diavolo ha inventato ‘ste sigle? Meriterebbe la pubblica gogna) per 3 anni (poi vedremo se resteranno 3 o meno) riceverai un sussidio e tu in cambio però dovrai andare al lavoro o ai corsi di formazione che ti indicherà il tuo Ufficio di collocamento. Cioè cambia solo che in attesa di Godot ti finanzio per 3 anni.

Si può scherzare sulla miseria? No, il politically correct ce lo vieta. Allora diciamola così: per il sussidio ci pensa lo Stato; per il lavoro al Nord Italia vediamo, al centro Italia speriamo, al Sud preghiamo. In questo momento sta di fatto che a fronte di 700mila persone che, i dati sono dell’altro giorno, hanno chiesto il Rei, i pentastellati hanno proposto il Rci e la Lega ha risposto con il Ral. Capite che un disoccupato si senta un po’ diciamo, disorientato di fronte a questo proliferare di sigle?



Il tema è però un tema vero, come ci dice Roberto Benaglia, del Dipartimento Mercato del Lavoro e Contrattazione Cisl e che da anni segue questi problemi: “Non si può dire che sia un falso problema, anzi. Il tema c’è, e si tratta di come creare forme di reddito che siano fortemente collegate al lavoro. Il mercato che abbiamo di fronte però è un mercato ben diverso da quello che si pensa, è un mercato frastagliato, nel quale, ad esempio, moltissimi sono coloro che, per necessità e mica per scelta, sono costretti a lavorare part time per, magari, 8 ora la settimana. Anche di costoro dobbiamo occuparci, non si possono lasciare indietro”. Dunque di fronte a un panorama sempre più parcellizzato, che ci richiede risposte sempre più complesse, c’è bisogno di un’integrazione che sia equa, giusta, sostenibile. E non mandi i conti in rosso.

Un’altra variabile assai significativa è che da tempo si sta pensando a come risolvere questo tipo di problemi. E da tempo è stata inventata tutta una serie di risposte, si sono lanciati straordinari strumenti sul mercato che però sempre si sono scontrati con la scelta di dover decidere ogni anno dove allocare le poche risorse disponibili. “Non sono ancora partite – ci dice sempre Benaglia – le politiche attive per il reinserimento dei disoccupati e siamo qui a discutere di reddito per chi non ha lavoro. Ma se non c’erano soldi prima ora da dove li si toglie? Al netto delle questioni elettorali, noi pensiamo che prima si debba discutere di inserimento lavorativo, e poi si possa affrontare il problema”.

In ogni caso quale è la differenza tra Rei, Rci e il neonato Ral? Mettiamola così. Il Rei cuba poco più di 550 euro al mese e vale per un massimo di tre anni ed è rivolto a tutti. Il Ral leghista è un prestito d’onore dello Stato da 750 euro al mese, vale per tre anni, prevede l’apporto delle banche, ed è rivolto al disoccupato povero, il quale restituirà la somma in comode rate ventennali, non appena trova un’occupazione. Il Rci dei pentastellati è un reddito minimo a integrazione di quello personale fino a 780 euro al mese, non vi sono scadenze, è rivolto a tutti i poveri anche pensionati, e chi lo riceve e sia in grado di lavorare non deve rifiutare più di tre offerte congrue: cioè che non siano troppo distanti da casa, in linea con le capacità della persona e con il suo titolo di studio. Stiamo parlando di un beneficio medio per ogni famiglia pari a 12.175 euro all’anno.

Al netto delle polemiche, in effetti, il dato vero è che le cifre di cui si sta ragionando sono enormi e noi siamo gli stessi che non hanno trovato i soldi per finanziare l’assegno di disoccupazione per tutti coloro che sono in Naspi! Please, almeno a Pasqua davanti al più grande evento della Storia, partiamo dalla realtà!

Il Ral significherà pure superare il Rei, che è la forma renziana, e minimalista, del Rci: ma al netto di tutto ciò ci sono le 700mila persone che hanno dichiarato a gran voce che la loro è una povertà vera. Quindi di questo dobbiamo parlare: della disoccupazione generata dalla crisi e dei tentativi di porvi rimedio. Sapendo che la soluzione ultima, siamo tutti concordi, è il lavoro, e quella immediata è un sussidio. Ma sapendo anche però che per creare lavoro al Sud dovremo investire ingenti somme, per un tempo lungo. E che queste ingenti somme dovrebbero, come le vacche del Duce, essere nel medesimo tempo in due capitoli diversi del bilancio, e che anche se non lo fossero, se pure le nostre preghiere avessero lo stesso effetto delle benedizioni di Gesù sulle rive del lago durante la pesca miracolosa, o durante la spartizione dei pani e dei pesci, ebbene se anche avessimo così tanta fede come ne avevano i dodici (o gli undici…), per avere abbastanza lavoro da offrire ai disoccupati dovremmo attendere non uno, né due anni, ma molti di più.

“Se non vogliamo cadere nella piccola polemica politica – conclude Benaglia – intanto dobbiamo dire che noi siamo d’accordo per discutere di rifinanziamento degli strumenti che già ci sono. Poi possiamo affrontare il tema dei nuovi strumenti. Ma mischiare quel che c’è con quel che si vorrebbe genererà solo confusione. Siamo per il sostegno a chi si vuole inserire al lavoro, ma i giovani hanno bisogno di formazione continua, di alternanza scuola-lavoro, di sistema duale”. Nel mentre noi aspettiamo ancora che siano realizzate quelle politiche attive per il lavoro, di cui si parla e discute da anni e annorum.

Conclusione pasqualina: la povertà è roba seria, che colpisce tanta, troppa gente, in Italia. La soluzione è creare un ambiente propizio alla nascita di imprese. Nel mezzo ci sono Rci, Ral e Rei, ma soprattutto ci sono 700mila famiglie che aspettano che la si finisca con la campagna elettorale e ci si metta finalmente al lavoro per creare lavoro.