Il tema della formazione professionale non ha avuto nel corso della campagna elettorale la rilevanza che avrebbe potuto avere. Nel corso della legislatura conclusa vi sono state grandi novità. L’impegno teso a favorire percorsi professionalizzanti finalizzati a incrementare una formazione più adeguata alle richieste di nuove professionalità derivanti dai cambiamenti tecnologici delle imprese, ha dato vita a interventi per l’alternanza scuola-lavoro, all’introduzione del sistema duale e alle semplificazioni per i contratti di apprendistato.



Certo il dibattito elettorale è stato questa volta molto anomalo. Da un lato i partiti hanno speso il loro impegno con messaggi più da campagne pubblicitarie legate a individuabili target di elettorato o mirati a sollevare temi ritenuti utili a sollecitare reazioni umorali. I commentatori hanno badato più all’interpretazione del futuro, dato che si dà per assodato un risultato che non fornirà indicazioni chiare per la formazione di una maggioranza di governo. In entrambi i casi i temi del lavoro, e di quello giovanile in particolare, sono rimasti fuori dal fulcro del dibattito politico.



Dato però che avanzare osservazioni sugli aspetti negativi della nostra struttura socioeconomica è ritenuto utile per conquistare l’attenzione dell’elettorato, anche in assenza di proposte positive di soluzione, un tema è stato sollevato con una certa regolarità. Ci riferiamo all’abbandono scolastico, indicato come uno dei problemi strutturali del nostro sistema formativo. Si è insistito spesso nell’indicare fra il 18% e il 20% il dato relativo al fenomeno per cui i nostri giovani escono dai percorsi formativi senza aver acquisito nessuna qualifica professionale. Avremmo pertanto qui uno dei problemi dello scarso investimento in capitale umano che segna la ragione della profonda differenza rispetto agli altri paesi europei.



Fino a qualche anno fa il dato era anche uno dei pochi che mostrava poche differenze fra le diverse regioni e fra nord e sud del Paese. Era, in negativo, uno dei dati unificanti del nostro sistema educativo o formativo. Ciò però non è più vero da alcuni anni, ossia da quando, con la riforma della formazione professionale, alcune regioni hanno dato vita a percorsi di formazione che si sono aggiunti ai tradizionali percorsi post obbligo scolastico. Ci riferiamo in particolare ai percorsi di istruzione e formazione professionale triennali che oltre ad assolvere l’obbligo scolastico con i due anni aggiuntivi che portano a 10 anni complessivi la durata del ciclo dell’obbligo, permettono di concludere il ciclo con l’ottenimento di una qualifica professionale.

L’apertura di questi percorsi scolastici regionali ha posto problemi alle rilevazioni statistiche esistenti precedentemente. Senza voler affrontare le tecnicalità statistiche sottostanti è però interessante vedere come i dati risultino sottostimare l’effetto derivato dall’introduzione della riforma dell’istruzione e formazione professionale. Secondo i rilevamenti Istat-Eurostat, il dato rilevante è basato su chi abbandona prima della conclusione del ciclo obbligatorio e chi abbandona prima di aver ottenuto una qualifica. Fra i due indicatori, peraltro spesso sovrapposti, si perde di vista quanti hanno in realtà assolto l’obiettivo formativo, oltre quello dell’istruzione, con i corsi regionali equivalenti.

Dalla riforma scolastica il tasso di abbandono è calato di oltre 5 punti complessivamente passando dal 18% al 13% circa. Apparentemente in modo “uniforme” fra le diverse regioni, ma perché non tiene conto di quanti “escono” in realtà per fare un percorso non rilevato. A chiarire quanto sostenuto ci confortano i dati della anagrafe scolastica del Miur. Non è ancora stata integrata con le anagrafi regionali e pertanto non rileva tutti i percorsi dei singoli individui. A completamento si arriverà solo nei prossimi anni scolastici. Ma per il momento individua quanti escono dai percorsi scolastici tradizionali dichiarando la volontà di passare a corsi di IeFp. Questo dato è il 5% degli studenti nelle regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Lazio) che hanno sviluppato il sistema triennale professionalizzante. Se i campioni fossero confrontabili otterremmo quindi che negli ultimi anni l’abbandono scolastico in queste regioni (con differenze sensibili fra di loro) sarebbe calato di 10 punti percentuali e non di 5.

E in effetti, guardando il dato lombardo, quanti abbandonano le scuole superiori sono il 4,2% e non il 12% indicato dalle vecchie rilevazioni statistiche. D’altro canto l’osservazione generale è più vicina a questi dati che non a quelli basati sulla vecchia metodologia. Ogni classe di età presenta numeri inferiori alle precedenti, esplodono le iscrizioni sia nei licei che negli istituti tecnici, i percorsi IeFp lombardi hanno assorbito in 5 anni circa 50.000 studenti. Se non crescono i giovani è impossibile che sia rimasto fermo il tasso di abbandono.

La lunga dissertazione non vuole certo essere una reprimenda per sostenere che siamo nel migliore dei modi possibili. Si può e si deve fare di più. Quanti però negano gli effetti dei risultati del nuovo sistema di formazione professionale (potenziato dall’introduzione del sistema duale) vorrebbero tornare a un sistema centralistico pre-riforma. Si tratta invece di procedere oltre. Rafforzare il sistema professionalizzante sia del livello base, primo triennio, e sviluppare i percorsi successivi di Ifts e Its che portano i giovani ad acquisire alta professionalità attraverso percorsi di scuola e lavoro (attraverso lo sviluppo dell’apprendistato) che si sono dimostrati capaci di combattere la dispersione scolastica e soprattutto di fornire una risposta efficace per sviluppare l’occupazione giovanile.