Le industrie italiane cercano affannosamente tecnici specializzati, ma nonostante gli sforzi profusi non riescono a coprire le posizioni. Mancano all’appello 93.000 tecnici (fonte Confindustria), soprattutto al nord, per far fronte alla ripresa produttiva e per un ricambio generazionale legato oltre che all’età delle maestranze, anche all’implementazione di nuove tecnologie (Industry 4.0). Sono dati che contrastano con i numeri della disoccupazione giovanile nazionale (giovani con meno di 35 anni) che si attestano, pur con qualche recente miglioramento, costantemente attorno al 30%.



Altri numeri forniti dal Miur indicano per la scuola secondaria superiore su scala nazionale una sostanziale stasi delle iscrizioni agli istituti tecnici e un calo nei professionali. Gli Its (Scuole post diploma di alta specializzazione), vera fucina di tecnici, stanno lavorando bene, ma con numeri troppo esigui – poco meno di 10.000 studenti sul territorio nazionale – per poter incidere sul sistema. L’Università, che pure nelle facoltà tecnico-scientifiche vede numeri importanti di iscritti, prepara figure che spesso sono lontane dalle richieste delle aziende, mentre preoccupante è il dato degli studenti “inattivi” e degli abbandoni.



Le previsioni demografiche dei prossimi anni sono inoltre non certo confortanti: avremo in generale meno giovani e quindi meno possibilità di formare tecnici. Non servono quindi grandi ragionamenti per comprendere che qualcosa non funziona nel nostro sistema formativo e nelle sue interazioni con il mondo produttivo. La tentazione di ogni organismo e ogni azienda è quella di cercare soluzioni immediate e di pronta realizzazione. Azioni certo motivate dalla convinzione che mutamenti sistematici richiedono tempi troppo lunghi e sono spesso osteggiati dalla diffidenza rispetto ai mutamenti.

Le aziende più strutturate hanno iniziato a organizzare proprie “academy” per formare tecnici per le loro produzioni; in altri casi si è pensato di reclutare risorse in zone depresse dell’Italia o addirittura all’estero. Molti cercano di entrare nel difficile mondo scolastico proponendo improbabili progetti che hanno lo scopo di avvicinare i neo diplomati tecnici. Tutte soluzioni che sicuramente possono contribuire a porre rimedio a un bisogno immediato, ma che spesso innescano dinamiche a livello di sistema che rischiano di acuire il problema.



Ciò che manca è un vero intervento strutturale che veda coinvolti a livello territoriale (regione) tutti gli attori e gli stakeholders, in un’ottica di programmazione e senza dare spazio a interventi legati a interessi di parte. Quali le possibili soluzioni?

C’è la necessità di una regia generale delle filiere formative, che riesca a semplificare e razionalizzare i percorsi, definendo figure professionali chiare e rispondenti alle richieste del sistema produttivo. Un sistema con due soli grandi canali, come quello tedesco, potrebbe essere un modello di riferimento, mentre l’onere del coordinamento dovrebbe ricadere sulle Regioni, una volta definitivamente chiarito il nodo costituzionale delle competenze. Ci sono in questo senso già strumenti normativi (Poli Tecnico Professionali) che se attuati in modo razionale potrebbero costituire un valido inizio per il processo citato.

La necessità di formare competenze sia nei giovani, sia nei lavoratori in funzione delle nuove tecnologie impone di concepire sistemi formativo-produttivi che consentano anche alle Pmi di poter contare su tecnici preparati. Non più quindi un sistema produttivo che delega alla scuola la formazione, ma un sistema integrato di formazione. In questa direzione qualcosa si sta muovendo con le “zoppicanti” esperienze di Alternanza Scuola Lavoro, ma soprattutto con sistemi misti anche nella governance come gli Its. Perché allora non pensare a “pool” di aziende che stabilmente possano formare assieme alla scuola tecnici specializzati con percorsi specifici, svolti per una buona parte in azienda, per garantirsi una “panchina lunga” e comunque dare ai giovani la certezza di un impiego qualificato?

Lo strumento esiste già e, seppur con numeri ridotti, sta dando risultati eccellenti. Gli Its hanno una struttura snella e flessibile, sono gestiti da fondazioni a partecipazione mista pubblico-privata, ma soprattutto delineano la propria proposta formativa su indicazioni specifiche del sistema produttivo. Se si aggiunge che il campo di azione di tali enti formativi può estendersi alla formazione continua, la loro diffusione potrebbe realmente costituire un grande passo aventi nella direzione dello sviluppo produttivo di un territorio.

Ci troviamo di fronte alla necessità di compiere scelte importanti a livello di sistema per risolvere problemi contingenti (i tecnici che non si trovano) e per sviluppare e aggiornare il sistema produttivo (riqualificazione dei lavoratori). È necessario che da parte imprenditoriale si pensi a investire nella formazione di competenze avanzate, ponendosi obiettivi a medio termine e collaborando a “sistemi di territorio”, mentre la scuola, pur tra le mille difficoltà di un sistema “ingessato”, deve aprirsi al mondo esterno e non stancarsi di collaborare a esperienze innovative.