Le regole del pensionamento anticipato/anzianità continuano a essere al centro del dibattito politico. Le proposte convergenti del M5S e della Lega sono rivolte a rendere ancor più agevole il ricorso a questo istituto che rappresenta – per tanti motivi – l’Apriti Sesamo (la parola d’ordine con cui i 40 ladroni di Aladino aprivano il sito in cui erano radunate le ricchezze frutto delle loro ruberie) dell’accesso alla quiescenza per le generazioni del baby boom. I due percorsi indicati (quota 100 o 41 anni di versamenti) sono la prosecuzione aggiornata dell’impostazione che il ministro Cesare Damiano adottò nel 2007 per correggere e superare (al costo di 7,5 miliardi di euro in un decennio) lo “scalone” che, in forza della riforma Maroni-Tremonti, sarebbe entrato in vigore l’anno successivo.



La riforma del 2011 aveva tentato di cauterizzare la ferita dell’anticipo per anzianità che, nel tempo, ha dissanguato – come vedremo – il sistema pensionistico. Era stata prevista una soglia anagrafica minima a 62 anni: i trattamenti erogati al di sotto di quell’età avrebbero subito una modesta penalizzazione economica. Questa norma è stata prima sospesa, poi abolita, mentre è rimasto (introdotto dalla riforma Fornero) l’aggancio automatico all’attesa di vita da applicare anche al requisito contributivo (e non solo a quello anagrafico). Il “pacchetto Ape” e gli altri provvedimenti contenuti nella Legge di bilancio 2018 (le 15 categorie di lavoro gravoso sottoposte a un regime diverso per quanto riguarda l’applicazione dell’aggancio) hanno creato un percorso parallelo per l’esodo anticipato. La materia, però, è sub iudice, ammesso e non concesso che sia possibile dare vita a una maggioranza e a un governo nella XVIII legislatura, iniziata sotto auspici particolarmente negativi.



L’istituto del pensionamento anticipato non è una cattiva pianta cresciuta solo in Italia. Anche gli ordinamenti pensionistici di altri Paesi europei prevedono vie d’uscita da utilizzare prima del compimento dell’età di vecchiaia (e della maturazione degli ulteriori requisiti). Ecco i soli Paesi che ne sono privi: il Regno Unito, l’Irlanda, la Svezia, la Norvegia, i Paesi Bassi, la Danimarca e la Finlandia. Alcuni degli ordinamenti di tali Paesi, tuttavia, prevedono una forma di pensionamento flessibile (all’interno di un range anagrafico minimo e massimo) che in pratica assolve alla funzione di un eventuale anticipo. Nei Paesi in cui operano regimi di early retirement, essi sono operanti in particolare nei casi di lavori usuranti o di invalidità. Gli ordinamenti più generosi sono in vigore nelle nazioni dell’Est europeo, mentre in quelle dell’Europa occidentale (Belgio, Francia, Germania, Spagna, ecc.) la questione dei trattamenti anticipati è stata oggetto di ricorrenti interventi riformatori, che tuttavia hanno dovuto fare i conti con le resistenze dei soggetti interessati e delle loro organizzazioni rappresentative, a partire dai sindacati.



Sulla carta, il nostro Paese è dunque in buona compagnia. Vi è però una caratteristica non riscontrabile altrove, nemmeno laddove è vigente un sistema di anticipo. Da noi, secondo i dati trasmessi dall’Inps relativamente ai trattamenti in vigore il 1° gennaio 2018 nei settori privati, il numero delle pensioni di vecchiaia è di poco superiore (4,7 milioni) a quello riguardante l’anzianità (4,3 milioni), ma la spesa per le prime (42 miliardi) è meno della metà di quella delle seconde (93 miliardi). Numeri ancor più sorprendenti emergono dal Fondo dei lavoratori dipendenti (l’architrave del sistema obbligatorio: 48% delle pensioni erogate e 61% degli importi in pagamento): 2,72 milioni per l’anzianità contro 2,77 milioni per la vecchiaia a cui corrisponde una spesa rispettivamente pari a 68 miliardi contro 28 miliardi. Ma l’aspetto di maggior rilevo sta in quello che l’Inps definisce “il tasso di mascolinità” delle pensioni ovvero la quota percepita dai lavoratori. Nel complesso (dipendenti ed autonomi) il 77,5% dei trattamenti anticipati/anzianità viene erogato a uomini, a fronte del 35,3% a donne. Il rapporto si inverte se si considerano le prestazioni di vecchiaia: nella medesima platea relativa al complesso delle gestioni private, 3 milioni sono percepite da donne, a fronte di 1,6 milioni da uomini. Ovviamente questi andamenti influiscono anche sull’età effettiva media alla decorrenza della pensione che, nel settore della vecchiaia (comprensivo dell’anticipo) nel 2017 è stata pari a 63,5 anni.

SCHEDA – Le pensioni anticipate negli altri paesi europei

Belgio 61 anni (uomini e donne) dopo 39 anni di attività professionale (60 anni se si hanno 40 anni di attività professionale).

Francia Schema generale per i dipendenti (régime génerale d’assurance vieillesse des travailleurs salariés, RGAVTS). Lunga carriera: tra i 56 ed i 60 anni di età, a seconda dell’anno di nascita, dell’età in inizio di attività, della durata di assicurazione e dei contributi. Grave disabilità: tra i 55 e i 59 anni, subordinato al compimento del periodo minimo di assicurazione e contribuzione. Lavori “usuranti”: a partire dall’età di 60 con una incapacità di almeno il 20% a causa di un infortunio sul lavoro, o con l’incapacità tra il 10% e il 20%, a condizione che derivi da una minima esposizione ai fattori di rischio professionali.

Regimi complementari per i lavoratori dipendenti (ARRCO) e per i dirigenti (AGIRC): età compresa tra i 55 e i 57 anni con un coefficiente di anticipazione secondo l’anno di nascita o senza coefficiente se l’assicurato ha ottenuto la pensione di base a tariffa piena.

Germania L’età pensionabile per le pensioni anticipate è adeguata alla nuova età pensionabile: a partire dall’età di 67 con una trattenuta all’età di 63 anni (65 per le persone gravemente disabili con deduzione a partire dall’età di 62), dopo 35 anni di periodi di assicurazione pensionistica.

Nessun aggiustamento per i tipi di pensioni che sono state ritirate, l’età pensionabile resta 65 anni di età: a partire dall’età di 60 anni con detrazione per le donne nate prima del 1952 dopo almeno 15 anni di contributi e periodi sostitutivi, se i contributi obbligatori sono stati pagati per più di dieci anni da quando all’età di 40 anni, l’età pensionabile resta l’età di 65 anni; a partire dall’età di 63 con detrazione per le persone nate prima del 1952, dopo almeno 15 anni di contributi e periodi sostitutivi se sono stati a titolo obbligatorio per almeno 8 negli ultimi 10 anni, che sono disoccupati alla decorrenza della pensione o che sono stati disoccupati per 52 settimane dopo il completamento della età di 58,5 anni o che hanno lavorato a tempo parziale per i lavoratori anziani (Altersteilzeitarbeit) per 24 mesi di calendario.

Le pensioni senza detrazioni sono possibili dall’età di 63 anni, a condizione di aver versato 45 anni di contributi obbligatori, compresi i periodi di aspettativa collegati alla crescita dei bambini fino all’età di 10 anni. Possono essere inclusi anche i periodi di contribuzione volontaria (con versamenti per almeno 18 anni), i periodi con indennità di disoccupazione e altre indennità temporanee nonché specifici periodi a titolo di risarcimento del reddito ridotto (che non vengono inclusi nel caso in cui i contributi vengano versati nell’ambito di regimi di promozione dei posti di lavoro se questi periodi rientrano negli ultimi 2 anni prima della data di inizio delle prestazioni pensionistiche – c.d. data partenza lanciata; vengono invece inclusi se causati da un fallimento o sospensione totale delle attività da parte del datore di lavoro). I periodi di lunga durata o disoccupazione permanente sono riconosciuti come periodi di “nonreddito”. Come compenso per la durata del pagamento della pensione, la pensione viene ridotta dello 0,3% per ogni mese di una pensione prima dell’età pensionabile ordinaria (in caso di pensione di vecchiaia per le persone con grave disabilità prima dei 65 anni).

Gli assicurati nati prima del 1° gennaio 1964, che abbiano versato 35 anni di contributi assicurativi, accedono alla pensione piena, senza penalizzazioni, al compimento dei 65 anni, mentre per gli assicurati nati tra il 1° gennaio 1949 e il 31 dicembre 1963, il limite di età è gradualmente innalzato, a partire dal 2012, da 65 a 67 anni, in base alla data di nascita. Per gli assicurati nati dopo il 1° gennaio 1964, a partire dal 2012, il limite di età è di 67 anni, con 35 anni di contributi.

Spagna 60 anni per i soggetti assicurati secondo il sistema abolito il 1° gennaio 1967. È possibile anticipare al massimo di 2 anni precedenti il pensionamento di vecchiaia in caso di: Pensionamento volontario; 35 anni di contributi, e importo della pensione rispetto al valore minimo di pensione.

È possibile anticipare al massimo di 4 anni precedenti il pensionamento di vecchiaia in caso di: pensionamento involontario a causa di alcune cause, 33 anni di contributi e registrazione 6 mesi come disoccupati.

L’età legale di pensionamento può essere anticipata per alcuni gruppi la cui attività professionale è arduo, tossici, pericolosi o insalubri.

I lavoratori con un grado di invalidità del 45% possono andare in pensione anticipatamente a partire da 56 anni di età (65% da 52 anni) a determinate condizioni.