La controversa sentenza emessa dal Tribunale di Torino in merito alla connotazione giuridica dei lavoratori di Foodora rischia di distrarre l’attenzione dal tema principale e sensibilmente più delicato su cui si dovrebbe piuttosto focalizzare il dibattito dell’opinione pubblica: non tanto e non solo se trattasi di contratti di lavoro dipendente o di rapporti di collaborazione autonoma, ma quali diritti e tutele riusciamo a garantire a queste persone? Diverse migliaia di donne e uomini ogni giorno si “barcamenano” tra le varie forme di cui è disseminato l’attuale mercato del lavoro o provano a “inventarsi” nuove attività, spesso – o sarebbe meglio dire il più delle volte – prestando la propria professionalità a fronte di compensi assolutamente risibili.
Una spirale di precariato sempre più stringente, tanto dal punto di vista retributivo che sotto l’aspetto della pressoché totale assenza di misure di protezione sociale. Quale futuro allora per questi lavoratori? Che rappresentano uno spaccato importante anche sotto l’aspetto numerico: in Italia sono oggi oltre 5 milioni i titolari di partita Iva e i collaboratori. Come Felsa-Cisl, categoria rappresentativa del lavoro atipico, da quasi un decennio lavoriamo per provare a costruire risposte puntuali per questo mondo, complesso e variegato, portatore di istanze e bisogni differenziati, ma con un comune denominatore: la necessità di vedersi riconosciuta una retribuzione adeguata, il riconoscimento dei diritti fondamentali (genitorialità, malattia, infortunio, rappresentanza, ecc.) e la possibilità di accesso a una rete di servizi dedicati.
Per questi motivi appare non più rinviabile l’avvio di una contrattazione strutturata – e non più episodica – con questi committenti per individuare tutti gli strumenti utili a costruire garanzie certe, affrontando i problemi in maniera specifica e sapendo cogliere le novità del mondo del lavoro e del sistema produttivo. Mutuando esperienze consolidate, come quelle che la Felsa, insieme alle altre Organizzazioni Sindacali di Categoria, ha sviluppato in tutti questi anni nel settore delle collaborazioni, dando vita a una serie di accordi che, guardando al benessere dei lavoratori, hanno la finalità di rispondere a problematiche ed esigenze specifiche e di dare una connotazione precisa alla forma del lavoro autonomo, inteso nella sua accezione più ampia, anche attraverso forme di rappresentanza sindacale.
I caratteri principali possono essere sintetizzati – in maniera assolutamente esemplificativa – nel raccordo con le retribuzioni dei Contratti collettivi nazionali dei settori di riferimento per garantire una parità di trattamento economico e delle condizioni di lavoro, in particolare nelle tutele della malattia e dell’infortunio attraverso apposite sospensioni e proroghe, della maternità con la previsione di contributi una tantum e forme di prelazione, nel riconoscimento di compensi aggiuntivi a titolo di indennità per riposo psico-fisico, incrementi della retribuzione legati alla produttività, assicurazioni sanitarie integrative, misure di sicurezza; fino a possibili assunzioni stabili da parte del datore di lavoro per coloro che svolgono attività in maniera continuativa.
A riprova del fatto che la contrattazione collettiva, che ha sempre dimostrato di sapersi adeguare a un contesto normativo e sociale in continua evoluzione, è e resta la via maestra per condividere percorsi reali e offrire a tutte queste donne e uomini un luogo in cui riconoscersi e sentirsi tutelati; indipendentemente dalla tipologia contrattuale, ma per il rispetto dovuto alla loro dignità di persone e lavoratori.
L’elemento principe per valorizzare questa dignità non può che essere la libertà di associarsi e di costituire una rappresentanza sindacale. L’invito che ci sentiamo di rivolgere a questi lavoratori è dunque innanzitutto di mettersi insieme per condividere problematiche comuni e fare riferimento a una realtà sindacale strutturata che sia in grado concretamente di farsi portavoce delle loro istanze nelle sedi opportune.