Vitalizi che scandalo! Si potrebbe esordire dicendo “Tanto rumore per nulla”, se non fosse che la “quaestio” nasce con la pubblicazione anni fa del libro “La Casta” e prosegue sull’onda del grido “Vergogna!” lanciato tempo addietro dagli attuali vincitori delle elezioni del 4 marzo. Quaestio poi trasformata di volta in volta in battaglia di punta e fattore distintivo della politica, quella nuova rispetto alla vecchia.



Però il vero esordio è un altro: “Vitalizi che confusione!”, declinabile in “Vitalizi che ignoranza!”. In tale contesto diviene facile confondere e far confondere i concetti depauperandoli di verità fino ad alterare (manipolare?) il valore delle scelte. Cosa questa che poi si manifesta attraverso la battaglia delle parole, quella amata dai sofisti, e praticata secoli fa. Forse oggi, qualcuno la via dei sofisti la riconoscerebbe nella Programmazione neurolinguistica. E al presente è la stessa equità a rischiare per quella scelta etica non compiuta come rappresentanti degli elettori e riferimento dei cittadini. Scelta tra l’altro pienamente fattibile e giustificabile nel regime giuridico in cui avveniva.



Si diceva infatti “Poi vivo di rendita”, anziché “vivo di pensione”… espressione un po’ miserella rispetto al glamour del ruolo ricoperto, il tutto incurante dello stato di un’Italia da cui si ergeva un grido di dolore, accompagnato dalle lacrime della Fornero. Sembra paradossale – spesso avviene anche questo – che il governo – accusato di essere longa manus di troika, Bildberg, ecc. – abbia fatto il sovversivo radicale intervenendo de facto e de iure in quell’area giurisdizionale autonoma di Camera e Senato (perfezionata da Fini e Schifani), conosciuta con il nome di “autodichia”.



È infatti del 2011 l’abolizione del vitalizio come trattamento accessorio alle competenze previste dalla Costituzione nell’articolo 69. Ed è del 2012 il suo inserimento come quota aggiuntiva a quella vera propria forma previdenziale prevista dalle norme che prende il via come pensione parlamentare. Così com’è del 2012 la modalità di calcolo contributivo in ossequio alla riforma delle pensioni, suggellando a tal proposito (con l’inclusione e gli obblighi del metodo di calcolo) la dignità del pro quota del trattamento pensionistico. Quello che ama tanto Boeri e sul quale far leva, come ha dichiarato tante volte, per ristabilire l’equità in un sistema previdenziale troppo sbilanciato sui trattamenti di favore dei “vecchi” pensionati. Ma c’è un ma… il vitalizio non è pensione.

Chiariamo bene: i “padri” della Repubblica non pensarono a prevedere questa terza componente accanto all’indennità e alla diaria parlamentare, però diedero con l’autodichia quell’autonomia (ancorché nel contesto de iure publico) giurisdizionale e amministrativa agli organi preposti che fu ben sfruttata. Tranne che da Matteo Richetti (Pd), che ha fatto confusione nella confusione con buona pace della Commissione della Camera che ha approvato la sua proposta/disegno di legge per il semplice principio che tutti i cittadini debbano essere uguali di fronte alla legge… Come se coloro che fanno le leggi ne abbiano bisogno per non operare al di sopra e al di fuori delle stesse, incapaci di amministrare il principio di autonomia giuridica loro riconosciuto dalla autodichia, come guarantigia che ha fondamento, significato e scopo nella tutela del ruolo e del lavoro svolto. Come ha pure il suo limite per la responsabilità dello stesso affidato a coloro che hanno delega di rappresentare il popolo italiano.

E chiariamo pure con buona pace dell’Inps, del suo Presidente e della corrente di pensiero cui si ispira e di coloro che a lui si ispirano che ci sono tanti modi per richiedere e ottenere equità, tranne uno: quello della legge erga omnes che valga a ribaltare l’attuale struttura tripartita tra retributivo, misto e contributivo. Che forse i nostri rappresentanti, come anche molte verticalità, somme eccellenze, sono come coloro di cui si diceva in tempi biblici essere di dura cervice? Suvvia, direbbe il desaparecido Matteo, che siamo tutti grulli? Orbene, consapevoli che la classe politica di un Paese è in osmosi con lo stesso, catalizzatrice la classe dirigente, una volta tanto che ci si voglia rivolgere a una legge, a una corte di giustizia per senso di Stato, allora che Stato sia. Questo significa riprendere il problema dall’inizio.

La Corte di cassazione a sezioni unite ha definitivamente sbaragliato la tesi della natura di pensione del vitalizio, affermando che “va esclusa la natura pensionistica dell’assegno in questione, avendo esso una diversità di finalità e di regime rispetto alle pensioni, sia pur in presenza di caratteristiche della prestazione lato sensu previdenziali”. Lo stesso soggetto politico nel cui programma si chiedeva “l’eliminazione di ogni privilegio particolare per i parlamentari, tra questi il diritto alla pensione dopo due anni e mezzo”, ha successivamente riconosciuto che la giurisprudenza prevalente ha raggiunto una assestata conclusione in ordine alla natura non previdenziale degli emolumenti erogati agli ex componenti di assemblee elettive (Corte conti sez. Lombardia 24 giugno 2015, n. 117). E significa anche concluderlo in modo molto semplice con il quale mi rivolgo ai membri dei due rami del Parlamento per domandare: possibile che non riusciate a governare una simile problematica, voi che ne avete il potere e per quello stesso potere di deliberazione siete stati chiamati dal popolo italiano, quello stesso popolo che chiede equità, pari diritti come cittadini?

E qui ha ragione Richetti, dove sbaglia è invece sulla sfiducia, come parlamentare, di autorealizzazione. Scegliere una via complessa quando ce n’è una semplice, autorizza le peggiori interpretazioni che possa offrire il rasoio di Occam. Allora facciano lor signori, dove c’è da fare, quel passo di avvicinamento e di responsabilità chiesto l’uno l’altro, sfruttando l’autodichia per tassare gli “eccedenti” e costituendo un fondo il cui montante sia destinato alla riduzione del debito pubblico o a qualsiasi altra lodevole iniziativa che renda coloro che li hanno eletti orgogliosi di loro.

Autodichia e Fondo Autonomo, sono infatti i due lati del problema individuati nella proposta di Popolari&Progressisti per tagliar corto sulla pantomima dei vitalizi. E se si parte da qui si danno due segnali di vitalità della democrazia e del parlamento e di possibile onesta convergenza su un punto che entrerebbe di diritto anche in un contratto di programma e di governo. È il minimo, altrimenti sono sempre chiacchiere, o come diceva Mina ad Alberto Lupo, parole… parole… soltanto parole.