In occasione dell’elezione dei Presidenti dei due rami del Parlamento, il premier Paolo Gentiloni ha formalizzato le proprie dimissioni, rimettendo il mandato al Presidente Mattarella. Come da prassi istituzionale, al termine dell’incontro tenutosi presso il Quirinale, il Presidente della Repubblica ha emesso un comunicato con il quale “ha preso atto delle dimissioni e ha invitato il Governo a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti“.



Vista l’attuale difficoltà nella formazione di un nuovo Governo, che lascia prevedere tempi abbastanza lunghi per l’insediamento e la piena operatività di un nuovo esecutivo, c’è da domandarsi quali siano gli “affari correnti” cui fa riferimento il comunicato del Quirinale e, quindi, quali effettivi (o residuali) poteri rimangano in capo all’esecutivo uscente e quali dei molti dossier di fondamentale importanza, a oggi sul tavolo, potranno essere affrontati.



Come noto, infatti, alla riforma del mercato del lavoro inaugurata dal Jobs Act manca ancora il tassello finale, forse il più importante: le politiche attive per il lavoro. A riguardo, le riforme sin qui approntate, ispirate all’esigenza di garantire maggior flessibilità al mercato del lavoro, necessitano di essere completate con efficaci strumenti tesi a favorire un più rapido reimpiego della forza lavoro in ossequio alla cosiddetta flexsecurity. Oltre a ciò, poi, il Paese ha al più presto bisogno di una riduzione seria e strutturale del cuneo fiscale, con manovre capaci di dare vero ossigeno alle imprese e rendere l’economia italiana maggiormente competitiva.



Nell’attuale quadro istituzionale, però, al timone del Paese vi è il governo Gentiloni, che, avendo rassegnato le proprie dimissioni, è tutt’ora in carica per il disbrigo della sola ordinaria amministrazione. Difficile sostenere che in una tale situazione, pur nella vaghezza della formula di rito “disbrigo degli affari correnti” e nell’assenza di alcuna norma che preveda espressamente che il Governo dimissionario debba limitarsi a tali “affari correnti”, l’esecutivo uscente possa in qualche maniera esprimere atti di indirizzo politico che spingano verso l’implementazione di un sistema di politiche attive per il lavoro e una riforma dell’attuale sistema pubblico di collocamento basato sui Centri per l’impiego. D’altronde, sarebbe difficilmente sostenibile che un tale intervento costituisca “ordinaria amministrazione” o “affare corrente”.

Detto ciò, i fondamentali interventi necessari in tema di politiche attive per il lavoro o il deciso, quanto necessario, abbassamento del costo del lavoro, sono attualmente in stand-by, in attesa che si trovi una maggioranza e si insedi un nuovo esecutivo con una chiara agenda di governo di ampio respiro che, nella pienezza dei propri poteri, affronti gli importanti impegni dei prossimi mesi e, di concerto con il neoeletto Parlamento, inizi immediatamente a lavorare alle riforme a oggi necessarie.