Caro direttore, gli articoli pubblicati su queste pagine di Massimo Ferlini e di Daniel Zanda affrontano pienamente la questione del ruolo dei due principali attori nel mercato del lavoro: quello pubblico dei Centri per l’impiego e quello privato delle Agenzie per il lavoro. Lasciando sullo sfondo le intricate questioni regolatorie delle politiche del lavoro nei rapporti tra Stato e Regioni, è necessario ragionare con i numeri alla mente.
Le Agenzie per il lavoro private (Apl) che svolgono attività di somministrazione di lavoro sono poco più di 100 in Italia (ma con centinaia di uffici sul territorio) e la somministrazione, in costante crescita, è pari all’1,7%, lo ripeto l’1,7 % della forza lavoro. Il dato è rilevante perché rende evidente quanto sia difficile ridurre la somministrazione a strumento di precarizzazione del lavoro. Le Apl presenti in Italia che non vendono somministrazione ma svolgono, invece, attività di intermediazione, ricerca e selezione e ricollocazione del personale sono migliaia.
I Centri per l’impiego (Cpi) sono, invece, poco più di 500 e non svolgono attività di somministrazione di personale ma di semplice intermediazione. Il mercato del lavoro italiano, della domanda e dell’offerta, è storicamente caratterizzato dalla informalità, ossia la ricerca di lavoro avviene essenzialmente (per l’82%) attraverso il passaparola, le conoscenze, le relazioni insomma. Questa caratteristica rende inutilizzabile il canale dei Cpi che si riducono, quindi, a svolgere attività amministrativa. Esistono tuttavia delle esperienze di integrazione tra i Cpi e i processi di formazione, orientamento e ricerca di lavoro che offrono servizi non meramente amministrativi ma distintivi anche nei risultati. Cpi e Apl agiscono comunque nello stesso mercato (ad esclusione della somministrazione di lavoro), ma, mentre le seconde hanno ottimi risultati – altrimenti chiuderebbero – i primi, le cui spese di funzionamento gravano sulla collettività, hanno risultati assolutamente modesti.
A questi aspetti è necessario aggiungere che il dibattito per trovare una soluzione al problema occupazionale partendo dal ruolo degli attori del mercato del lavoro è oggi ravvivato anche dai programmi politici e dagli orientamenti delle forze che hanno raccolto più voti nelle elezioni nazionali, da un lato, e dalla trattativa per il rinnovo del Ccnl delle agenzie di somministrazione dall’altro. Il M5S in particolare ha proposto, nel suo programma, un investimento importante per potenziare i Cpi sul presupposto che la spesa per le politiche del lavoro in Italia, rispetto ad altri Stati europei, sia di gran lunga inferiore. Propone, quindi, un aumento della spesa pubblica e una maggiore presenza pubblica nei servizi al lavoro.
Daniel Zanda, nella sua riflessione a margine della trattativa per il rinnovo del Ccnl delle agenzie di somministrazione, sembra (ri)mettere sul tavolo sindacale la questione dell’obbligo per le Apl di assumere i lavoratori somministrati dopo un certo lasso di tempo. Metto assieme questi due aspetti perché vanno entrambi nella medesima direzione, quella di un’ennesima prova di ingegneria sociale che provocherebbe un ulteriore irrigidimento del mercato.
Il potenziamento dei Cpi comporterebbe un’ulteriore distorsione del mercato dei servizi lavoro costringendo le Apl concorrenti ad applicare prezzi più bassi, impoverendo il sistema a fronte di un risultato, dei Cpi, finora deludente. Non potremmo invece pensare di eliminare il sistema dei Centri per l’impiego dirottando i lavoratori addetti, poco meno di 10 mila, alle Agenzie per il lavoro? Queste hanno già dato prova di essere migliori fornitori di servizi al lavoro rispetto ai Cpi e potrebbero essere disposte all’assunzione di un lavoratore proveniente dai Cpi a fronte dell’eliminazione di un elemento che distorce il mercato. Assumere a tempo indeterminato lavoratori somministrati, come propone Zanda, risulterebbe invece una snaturazione dello strumento della somministrazione e il tentativo di far diventare le Apl un insieme di Centri per l’impiego.
A fronte di un sistema economico sempre fluido, industry 4.0, tecnologia blockchain per la certificazione delle competenze, mobilità lavorativa mondiale, la misurazione del lavoro non limitata al tempo impiegato, autonomia e subordinazione in totale crisi, non potremmo lasciare libero il mercato di muoversi in pienezza e occuparci solo della circolazione delle informazioni? Le informazioni sono alla base anche della formazione delle persone… l’unico bisogno certo di cui siamo consapevoli in ragione di un’economia (della conoscenza) sempre più raffinata.