La politica è una cosa seria, maledettamente seria. Se non altro perché da essa dipende la nostra vita quotidiana e soprattutto perché essa ha come scopo finale il bene comune. Certo per arrivare fin lì si deve passare dalla strada stretta e irta di difficoltà della lotta per la conquista del potere. Il problema in Italia è che tutti sembrano preoccuparsi più di questa strada che porta al potere che della gestione dello stesso. In fondo, peraltro, li si capisce. Governare significa fare scelte, rischiare, convincere gli altri della bontà della propria posizione e di norma perdere le elezioni successive perché “non è stato fatto nulla o mai abbastanza”: vuoi mettere quanto è più bello sedersi sull’albero in una perenne campagna elettorale, attaccando uno, urlando a quell’altro, avanzando proposte di ogni genere e natura, anche le più strampalate che tanto qualcuno che ci crede lo si trova sempre?



Dopo due mesi che l’Italia è andata avanti con un governo diciamo “di normale quotidianità”, dopo che i vincitori, non solo morali, delle ultime elezioni si sono rincorsi facendo finta di non trovarsi, dopo che Salvini non ha mollato Berlusconi grazie anche al determinante aiuto dei Cinque Stelle che si sono messi a insultare il Berlusca nazionale al momento giusto, ebbene dopo 60 giorni di pacifica vita, ecco che ora si fanno le prove generali in vista di un governo Pd-M5s. Come dire, se non siamo riusciti a mischiare l’acqua con l’olio, proviamo a mettere insieme il diavolo e l’acqua santa. Operazioni per le quali, ne converrete, più che gente formatasi alla corte dei De Gasperi o dei Craxi, servirebbero esperti venuti su alla scuola tenuta da quel famoso Gesù di Nazareth in Palestina alcuni secoli fa!



Non che sia impossibile andar d’accordo anche dopo essersi insultati allegramente per mesi; non che sia una sorpresa scoprire che un contratto di governo è cosa ben diversa da un programma elettorale; non che oggi sinistra e destra siano concetti perfettamente intercambiabili e totalmente integrabili. No, nulla di tutto ciò ci sorprende. Ciò che invece è davvero scioccante per chi come noi ha ancora una idea di uomo e di società che non si fonde nel nulla cosmico di Facebook e dei “mi piace” come surrogati delle elezioni, è scoprire che se si riuscirà nella miracolosa impresa di far coesistere Stelle e Stelline, ecco a quel punto la radicale contrapposizione tra reddito di cittadinanza e eeddito di inclusione, tra Jobs Act e articolo 18, tra Europa e Russia, tra il conflittuale Trump e l’innocente Assad, saranno invece saldati in un unico documento nel quale, immaginiamo, non si toccherà il Jobs Act ma si reintrodurrà l’articolo 18; si resterà atlantici ma con uno sguardo agli Urali e senza dimenticare il Grande Fiume Giallo; si appoggeranno i bombardamenti su Assad, ma gli si forniranno anche aiuti e sostegno; si inventerà un Reddito che sarà per il lavoro anche se il lavoro non ci sarà mai. Insomma, si metterà insieme tutto, si taglierà a pezzetti la verdura, si farà un gran minestrone, e alla fine si servirà il piatto ricco (soprattutto di sogni e speranze), alla tavola imbandita del “ora possiamo finalmente governare”.



Ecco, qui si torna al problema: perché governare imporrà per forza delle scelte. E siccome ci si è messi d’accordo sugli argomenti del passato, non su uno sguardo sul futuro, ecco che ogni nuovo argomento, ogni evento non previsto (e ne capitano ogni giorno nel mondo, senza neppure che venga chiesto il nostro parere), ogni dibattito suscitato alla mattina dal Pierino scavezzacollo di turno, ecco ogni fatto non programmato diventerà l’occasione per ricominciare a discutere, litigare, far casino, minacciare. In altre parole, sarà l’occasione per ritornare nell’unico vero terreno nel quale i nostri politici (che poi sono come noi, mica peggiori o migliori: sono proprio il nostro preciso riflesso), si trovano a loro pieno agio, il terreno della campagna elettorale, delle promesse di condurre l’Italia verso la Terra del Bengodi, là dove oltre a latte e miele, c’è pure l’Albero della Cuccagna e si gioca tutti i giorni, si mangia e beve a gratis.

Perché in fondo il programma politico ideale lo scrisse Collodi tanti anni fa, quando mise in bocca al Gatto e alla Volpe quelle magnifiche frasi che finirono per convincere Pinocchio ad abbandonare la strada per divenire uomo e a trasformarsi alla fin fine in un ciucchino. Governare è come crescere: significa faticare, spendere parole dure e bilanciare scelte complesse. Significa studiare nuove soluzioni per problemi storici; significa non guardare ai sondaggi ma intuire il futuro lontano e dirigervicisi con decisione.

Temiamo invece che le condizioni in cui potrebbe nascere un governo Pd-M5s siano le più rischiose, perché si tratterà, nel campo del lavoro ad esempio, di recuperare rapporti con quel mondo sindacale che secondo gli uni, gli stellati, semplicemente andrebbe abolito, e secondo gli altri pure ma non lo si può dire a voce troppo alta. Oppure prendiamo, sempre in questo medesimo campo, la questione di dove investire: daremo i soldi alle imprese per sostenere lo sviluppo, ai disoccupati per formarli e rinviarli al lavoro, o a chi non ha mai lavorato perché necessita di un reddito per vivere? 

Oppure poiché secondo Grillo (a proposito di costui: escludendo sia la Fatina, sia il Grillo saggio, a quale personaggio collodiano potrà mai essere accostato?), il lavoro non serve, scomparirà, è inutile, e dunque dovremo imparare a vivere senza lavorare, come si potrà conciliare ciò con l’impegno del Pd a dare un lavoro a ognuno? Ammetterete che l’arte del compromesso dovrà essere esercitata al massimo livello in questa complessa trattativa per dare all’Italia quel governo che, temiamo, l’Italia non vorrebbe avere. Perché diciamocelo tra noi, siamo davvero convinti che l’Italia voglia essere governata e non preferisca invece ascoltare le lusinghe elettorali? In fondo in ognuno di noi si nasconde un Pinocchio e vuoi mettere tra studiare e andare alle giostre quanto è più bella la seconda prospettiva?