La vicenda Ilva sta entrando nel vivo, sbaglia chi – nonostante eventi clamorosi – ne ha annunciato la fine. Ricapitolando, dopo il pronunciamento dell’Antitrust Ue a favore dell’acquisizione da parte di ArcelorMittal – benché sotto condizione, come abbiamo scritto – governo e sindacati si sono incontrati giovedì per definire il destino dei 4.000 esuberi che la ristrutturazione targata ArcelorMittal comporterà. Il piano messo sul tavolo dal ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda era tutt’altro che malvagio, sicuramente perfettibile, ma giudicarlo irricevibile è stato un atto molto insidioso tenuto conto delle contingenze. Sta di fatto che, una parte del sindacato – minoritaria – ne ha contestato il fondamento: la proposta non è ricevibile perché “il ministro Calenda non è legittimato a trattare”.



La proposta, che arrivava a offrire fino a 100.000 euro a lavoratore per eventuali esodi volontari, andava quantomeno blindata: ovvero, tenuto conto che del governo che verrà ancora non si conoscono le reali intenzioni e che, in fase di start-up, potrebbe essere timido circa un investimento cosi importante, bisognava sottoscrivere un accordo che garantisse i lavoratori che quantomeno quelle condizioni non sono peggiorative; e che da lì si sarebbe ripartiti in fase di trattativa col nuovo governo. E, invece, nulla. Aver respinto in questo modo la proposta di Calenda non è un segno di realismo e di maturità per il nostro sindacato.



Sta di fatto che, nonostante la bandiera bianca alzata da Calenda che ha fatto molto arrabbiare il Segretario Generale della Fim Marco Bentivogli – i due hanno scritto insieme il “piano industriale per l’Italia delle competenze” -, la trattativa, giudicata “chiusa” in modo quasi unanime dai protagonisti, si riaprirà. Ci ha pensato Barbagallo, leader Uil, a rompere il ghiaccio nel tardo pomeriggio di ieri: con un tweet dal profilo della Uil, “si riprenda subito la trattativa”. È chiaro che se si muove il sindacato a questi livelli, la trattativa si riaprirà. Calenda sicuramente sarà disponibile, lasciare il ministero senza un accordo non è una grande risultato per lui. E il sindacato intero ci ripenserà. Forse già oggi o domenica il tavolo si ritroverà.



E poi? Che ne sarà di Ilva? Salvini e Di Maio cosa ne pensano? Mentre il leader della Lega ha le idee piuttosto chiare – “Ilva è una priorità, inaccettabile la sua chiusura” -, Luigi Di Maio ha qualche gatta da pelare in casa sua: il M5S di Taranto ne vuole la chiusura per una futura riconversione (Grillo ha addirittura parlato di “aziende zombie succhia capitale”). Ma nel cuore di una rivoluzione industriale come quella attuale, può un decisore politico essere titubante di fronte a un investimento di 5,3 miliardi di euro? Va bene tutto, ma in tutta Europa il programma Industry4.0 è al centro dell’agenda politica. Speriamo che lo sia anche per la seconda potenza manifetturiera, l’Italia. Dobbiamo farlo capire ai dubbiosi e agli indecisi.

Twitter: @sabella_thinkin

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