Che l’intesa in materia di pensioni fosse a portata di mano nel contratto di governo giallo-verde era abbastanza evidente. Lo si era capito dai programmi elettorali i quali presentavano proposte sostanzialmente simili. A quanto pare, poi, i fratelli De Regge del populismo nostrano si sono resi conto che non avrebbe senso abolire tout court la legge Fornero, quando basterebbe modificarne alcune sue parti. Una scelta “modificativa” non è dettata solo da regole di galateo nei confronti dell’Ue e dei mercati, ma anche da una banale tecnica legislativa. Le modifiche, dunque, gireranno intorno alle due vie d’uscita indicate per il trattamento di anzianità: far valere quota 100 come somma dell’età anagrafica e dell’anzianità di servizio oppure aver maturato 41 anni di contribuzione. In tutti i casi, la contribuzione figurativa potrà essere “conteggiata” solo per un tempo definito. Resta da capire se ci sarà, nella prima ipotesi, uno spazio (e quale) di flessibilità nella somma dei due parametri richiesti e se sarà prevista comunque un’età minima.
Di grandissima importanza è poi la questione dell’aggancio automatico all’attesa di vita, che – a stare con quanto ha scritto nel suo ultimo rapporto Alberto Brambilla (probabile nuovo ministro del Lavoro) – dovrebbe rimanere nel caso di pensionamento di vecchiaia ma non in quello di anzianità: ciò è assai discutibile per il peso che ha il settore anzianità sull’intera spesa pensionistica. La controriforma sarebbe pertanto parecchio onerosa (vedremo di seguito i possibili costi), ma il suo più grave difetto, a mio avviso, continua a essere un altro: verrebbe facilitato il pensionamento di anzianità di cui disporranno centinaia di migliaia (nello stock sono già 5,8 milioni per un onere annuo superiore ai 90 miliardi) di lavoratori (il maschile è usato in senso specifico perché sono gli uomini ad avvalersene in stragrande maggioranza) appartenenti alle generazioni del baby boom, in grado di arrivare – per la loro collocazione sul mercato del lavoro – all’appuntamento con la quiescenza in possesso di una storia contributiva corrispondente ai requisiti richiesti, ma a un’età intorno ai 60 anni e a fronte di una prospettiva di vita destinata ad allungarsi ulteriormente.
Verrà quindi ad ampliarsi quel grumo di trattamenti di discreto livello economico (in media oltre 2mila euro mensili) che intaserà le arterie del sistema pensionistico per decenni a spese delle nuove generazioni di lavoratori a cui verrà imposto il carico di pensioni erogate sulla base di requisiti a cui loro non potranno mai accedere per le caratteristiche di percorsi lavorativi che non consentiranno l’accumulo di un’anzianità contributiva importante come quella richiesta. Tutto ciò premesso una nota di Tabula, il sito curato da Stefano Patriarca, consente di avere chiaro il quadro degli oneri da sostenere a seconda delle diverse opzioni sul tappeto.
Stima sul possibile impatto finanziario di un intervento di modifica della Legge Fornero limitatamente al pensionamento di anzianità Le ipotesi si focalizzano sulle pensioni di anzianità e cioè quelle pensioni alle quali si accede con un minimo di contributi accreditati indipendentemente dall’età. Nel 2017 sono state liquidate dall’Inps nel solo settore privato circa 290 mila nuove pensioni previdenziali dirette. Di queste circa 160 mila sono state di anzianità, con un importo medio mensile di quasi 2.000 euro e i nuovi pensionati di anzianità avevano in media 61 anni. Le pensioni di anzianità riguardano sostanzialmente gli uomini che infatti sono ben il 71% tra i pensionati di anzianità. Le donne sono maggiormente presenti nel pensionamento di vecchiaia (67 anni nel 2019 e 67 anni e 3 mesi nel 2022).
Stime su differenti ipotesi di intervento di modifica
SPESA NEL 2019 (in miliardi)
A) Quota 100 (somma di contributi ed età): 11,5
B) Quota 100 o 41 anni di contributi: 12,3
C) Quota 100 con un’età minima di 62 anni: 11,2
D) Requisito 41 anni di contributi con qualsiasi età: 9,1
E) Requisito 41 anni di contributi con minimo 62 anni di età: 3,7
NOTE
Pensioni interessate dalle ipotesi A, B, e C circa 350- 400 mila
Pensioni interessate dall’ipotesi D circa 140 mila
Con tali interventi in media i pensionati di anzianità accederanno alla pensione con un’età media attorno ai 59 anni (in riduzione rispetto a quella del 2017 di 61 anni) e di ben 8 anni più bassa dell’età di vecchiaia. La copertura da garantire in legge di bilancio per tre anni deve tenere conto che nel terzo anno la spesa sia circa il 20- 30% più alta di quella nel primo anno, mentre nel decimo anno la spesa annua potrebbe essere maggiore di quella del 2019 di circa il 50-60%. La spesa cumulata in 10 anni sarebbe per l’ipotesi più bassa attorno ai 50 miliardi e attorno ai 150 miliardi per l’ipotesi più alta.
Come si vede da Tabula, la copertura delle controriforme comporta oneri variabili a seconda delle scelte che saranno compiute. Si tratta comunque di risorse importanti soprattutto perché si aggiungono ad altre misure di incremento della spesa pubblica (reddito di cittadinanza) e di riduzione delle entrate (flat tax). Ma – lo ripeto – l’errore più grave continua a essere un altro: quello di impiegare ingenti stanziamenti a favore degli anziani pensionandi (già assistiti dal pacchetto Ape), quando – magari con somme inferiori – sarebbe possibile cominciare a impostare un regime pensionistico che guardi al mercato del lavoro di oggi e alle giovani generazioni. Ed è un errore che viene commesso in particolare da M5S che ha avuto in grande misura il voto dei giovani, mentre la Lega conferma una sua tradizionale e accanita difesa delle pensioni dei lavoratori (maschi) padani.