Caro direttore, nonostante la crisi, spesso si fa fatica a trovare personale. Occorre precisare che questo è vero, però, a seconda del settore. L’azienda di cui sono socio fondatore, Piramis, si muove ad esempio su due diversi livelli imprenditoriali, negozi e rete commerciale: quindi risulta difficile generalizzare sui problemi legati a ricerca e reclutamento del personale. Una prima considerazione è di ordine sociale e coinvolge tutti. Le persone cercano la sicurezza finanziaria di uno stipendio sicuro e “temono” il vocabolo “provvigioni”. Allo stesso tempo desiderano avere tempo libero.
Oggi la società vive all’ombra di una crisi che è in realtà quel cambiamento epocale che tocchiamo tutti i giorni. In soli 10 anni siamo passati dai telefonini agli smartphone, le case si sono informatizzate, le città stanno diventando smart e le aziende si stanno digitalizzando. Le persone lo capiscono, ma non accettano che il mondo del lavoro sia mutato alla stessa velocità. È questo il punto secondo chi scrive. Ed è per questo che oggi è difficile parlare di “problemi di occupazione”, e lo sarà sempre di più fino a che un messaggio del genere non sarà recepito a tutti i livelli: le persone, insomma, vogliono un lavoro (in generale) ma in realtà chiedono il lavoro (che desiderano), e quasi sempre le due cose sono inconciliabili.
In base alla mia esperienza personale, le difficoltà principali che i miei manager e io incontriamo sono legate alle abitudini sociali e coinvolgono entrambe le figure professionali: store manager e commerciali ai vari livelli. Nei negozi lavorano prevalentemente giovani che difficilmente rinunciano ad avere il weekend libero, mentre i commerciali spesso non hanno la costanza necessaria a trovare la propria dimensione professionale. Se poi ci si chiede perché molti non rispondano agli annunci di lavoro, compresi i miei, nonostante la disoccupazione in generale, e giovanile in particolare, occorre distinguere. Esistono esigenze e abitudini sociali differenti in relazione alle aree geografiche. Al Sud la disoccupazione e il lavoro sommerso si sovrappongono generando le difficoltà che tutti conosciamo. Non credo, insomma, che i dati della disoccupazione al Sud siano solo quelli ufficiali, i quali pescano nel mondo lavorativo legale. Il Nord, forte di un’economia comunque più florida, offre maggiori opportunità d’impiego, ma – e questo è un punto che non si sottolinea mai abbastanza – la condizione finanziaria delle famiglie consente ai giovani di rimandare l’ingresso nel mondo del lavoro, con effetti negativi per tutto il ciclo, produttivo da una parte e sociale dall’altra.
Ciò è dovuto anche a una scuola che non sempre risponde alle esigenze dei nuovi mercati. Il cosiddetto “pezzo di carta“, importantissimo da una parte, non sempre garantisce dall’altra una prospettiva professionale. I ragazzi e le ragazze di 20 anni hanno scelto il loro indirizzo lavorativo quando gran parte dei mestieri di oggi non esistevano nemmeno. E così sarà anche per il futuro. Ben consapevole di problemi del genere, almeno di alcuni, diverse aziende, compresa la mia, fin dalla nascita hanno superato i limiti geografici, e molti ragazzi e ragazze dal Sud lavorano nei loro centri, produttivi o di vendita, al Nord.
Per molti imprenditori è importante, nonché utile, fornire sempre nuove opportunità professionali ai propri collaboratori. Il centro di ricerca e sviluppo della mia azienda, ad esempio, esplora costantemente le opportunità offerte dalle nuove tecnologie per creare progetti dedicati ai nuovi settori economici con particolare attenzione alle diverse realtà territoriali e sociali. Ormai l’Italia è chiamata sempre più a investire nello sviluppo e nell’innovazione, potendo contare su una tradizione tecnica e scientifica che la concorrenza orientale non può creare dall’oggi al domani. Se presto i concorrenti extraeuropei potranno dire la loro nel campo tessile, sarà molto difficile che lo possano fare nel campo elettronico e della meccanica avanzata.
Gli imprenditori come me oggi sono soprattutto alla ricerca di uomini e donne di tutta Italia (e non solo) che desiderino un lavoro serio, professionale, in grado di garantire una crescita costante. La voglia di crescita è alla nostra portata, dipende da noi. Solo così saremmo più forti di fronte al cambiamento, quel cambiamento continuo, talvolta complesso e problematico, senz’altro sfidante, che la nostra era ci ha imposto e ci impone in continuazione. Se l’imprenditore pensa di poter capire il mondo da solo sbaglia: può farlo insieme ai propri collaboratori, i quali però devono essere all’altezza delle nuove sfide esattamente come lui.