Una corte di giustizia degli Stati Uniti ha emesso una sentenza di sfratto contro un giovane di 32 anni. L’istanza è stata promossa dai genitori che non avevano trovato altra via per liberarsi del loro ragazzone che non voleva saperne di rinunciare ai servizi gratuiti forniti dal risiedere nella casa famigliare. Possiamo ritenerla l’inizio di una giurisprudenza anti-bamboccioni e ritenere che il fenomeno non sia solo italiano.



A furia di sentirsi indicati come “fanigottoni” (per usare un vecchio termine milanese), i “giovani” incominciano a valutare lucidamente la propria condizione e si assiste a un avvio di analisi che tendono a sfatare semplificazioni e indicano soluzioni che non riguardano solo i giovani, ma, se ancora mantiene senso il termine di solidarietà, il futuro di tutti noi. Un giovane giornalista milanese ha dato alle stampe quello che potremmo definire il primo pamphlet generazionale dal titolo “Né sfruttati, né bamboccioni”. Lascio agli interessati la lettura delle ragioni per cui l’autore rifiuta le catalogazioni estreme presenti nel dibattito su giovani e lavoro e indica invece la necessità di cambiare alcune regole di fondo del nostro sistema sociale senza di cui continueremo a produrre una società non a misura di giovani.



Alla presentazione del libro ha fatto da introduzione e controcanto un gruppo di giovani bocconiani (gruppo tortuga – non arrivarci per contrarietà) che, vestiti i panni degli imputati, hanno con pochi grafici illuminato la situazione del nostro Paese. La tesi centrale è che oggi vi sono delle condizioni materiali che producono una situazione patologica che tende a riprodursi. Così a fronte di un mercato del lavoro che respinge invece di includere, si avvia un ciclo di disillusione, rabbia e frustrazione per un lavoro instabile e poco pagato e da qui cresce la pigrizia che porta alla categoria degli sdraiati. La tesi, illustrata da ampia statistica, è che ciò deriva da modelli economici e sociali che producono tutto ciò.



Proviamo a elencarli e rileviamo che in primis vi è un mercato del lavoro che offre pochi posti in assoluto, ma anche poche opportunità di avere una corrispondenza fra investimento formativo, desideri e opportunità. I contratti che vengono usati per l’inserimento al lavoro dei giovani sono spesso fonte di precarietà e salari che non permettono un’autonomia economica. Per troppi l’avvio con contratti di stages e tirocini diventa l’avvio per una vita di contratti sempre instabili (si vedano le statistiche sulle caratteristiche della vita lavorativa dei 30-40 anni). Per i neolaureati in discipline umanistiche e politiche sociali vi è un forte scarto fra offerta e domanda di lavoro.

A fronte di questo mercato del lavoro vi è un sistema formativo che risponde scarsamente a ciò che è richiesto dal sistema produttivo. Alla crescita della domanda di lavoro verso figure che abbiano caratteristiche tecnico-professionali non necessariamente universitarie, corrisponde un calo continuo degli iscritti a corsi di formazione tecnica sia di primo che di terzo livello. In più il percorso formativo scelto è strettamente correlato allo status sociale delle famiglie di provenienza. Quindi a basso ceto sociale corrispondono i corsi ritenuti di serie b con l’effetto di oscurare il mito della mobilità sociale attraverso la formazione e il lavoro. Vista la pressoché assenza di formazione per adulti e delle politiche attive del lavoro ciò diventa una trappola di immobilismo sociale da cui è difficile uscire dopo la fine dei percorsi formativi seguiti nella prima fase di vita.

Ad avvalorare una società statica vengono pesati altri due indicatori. Siamo una società classista e rigida, la probabilità di avere una situazione di reddito diversa dalla famiglia di origine è più bassa in Italia rispetto a Germania, Spagna e Francia. Solo la Gran Bretagna, nota società classista e chiusa, è di poco più rigida della nostra. Esportiamo soprattutto chi ha alte qualificazioni perché il nostro saldo nella bilancia import-export di high-skill ha un deficit del 13,2% contro un attivo del 7,8% in GB, del 20% in Germania e del 4,1% in Francia. Andare a lavorare fuori Italia è quindi più facile, per molti indispensabile perché non vi è domanda per il loro livello di qualificazione. Sono andati troppo avanti rispetto al sistema Paese.

Aggiungiamo a questo quadro che la spesa pubblica, in rapporto al Pil, premia gli anziani con la spesa pensionistica invece di sostenere formazione e politiche del lavoro. Le pensioni assorbono da noi oltre il 20% (primo Paese europeo in questo) mentre per l’istruzione spendiamo meno di tutti rimanendo sotto il 4%. Per le politiche del lavoro raggiungiamo a fatica l’1,20%, mentre i paesi europei confrontabili con noi superano l’1,60%. Abbiamo perciò un sistema di welfare che punta sull’assistenza e taglia invece sull’investimento in istruzione e lavoro.

Come recita il logo del gruppo, i giovani di tortuga non amano la denuncia fine a se stessa e pertanto indicano un percorso di scelte e riforme che creino condizioni sociali diverse ove trovi promozione il lavoro giovanile. Centrali sono due scelte di fondo: non rivedere il sistema pensionistico attuale per non sottrarre ulteriori risorse agli investimenti sulle nuove generazioni e operare una riforma fiscale che, togliendo tasse sul lavoro, porti a una redistribuzione intergenerazionale. Va invertita pertanto la solidarietà fiscale, più sei anziano più paghi, i giovani non possono più mantenere un welfare fatto per i vecchi.

Essendo economisti insistono anche su un tasto. Le risorse per poter essere distribuite vanno prima prodotte. Per questo è centrale una politica di forti investimenti che sostenga una crescita della produttività del sistema produttivo. Molto sarà determinato dagli investimenti per un’impresa 4.0, ma anche grandi scelte per la sburocratizzazione e per la liberalizzazione di mercati regolati possono rimettere in moto una nuove fase di mobilità sociale.

In tema di scelte e di investimenti è il settore della formazione quello su cui insistere di più proseguendo nel potenziare il sistema duale. La crescita degli Its e della formazione professionale ha aperto un nuovo canale formativo più adeguato ai mutamenti produttivi. Deve potersi saldare con un sistema altrettanto strutturato di formazione durante tutta la vita lavorativa e con un sistema di politiche attive del lavoro che non lasci indietro nessuno.

Alla presentazione bamboccioni non se ne sono visti. Se è invece l’avvio di un movimento capace di incidere nella realtà si vedrà già nel dibattito politico dei prossimi mesi. Gli strumenti per misurare se le scelte che saranno fatte andranno nel senso di sostenere gli investimenti per il futuro o mantenere solo i pensionali sono stati forniti. Usiamoli al meglio.