Il conferimento dell’incarico di formare un governo a Carlo Cottarelli è una scelta che va ben al di là dell’esecutivo “di tregua” che il Presidente della Repubblica aveva prefigurato dopo aver constatato l’impossibilità, fino a quel momento, di promuovere una maggioranza di carattere politico sulla base dei rapporti di forza emersi nelle elezioni del 4 marzo. Con questa indicazione il Quirinale ha tracciato il perimetro di una precisa linea politica incentrata sulla stabilità di bilancio, l’appartenenza all’Unione europea e all’area dell’euro, a cui il governo del Paese deve attenersi qualunque sia la sua maggioranza. È questo il profilo più delicato della svolta del 27 maggio, perché contrappone la suprema magistratura dello Stato alle forze politiche che si appoggiano al voto popolare, dimenticando a bella posta che la sovranità a cui fa riferimento il secondo comma dell’articolo 1 della Costituzione si esercita nei limiti previsti dalla Legge fondamentale.



La democrazia – è stato detto da un grande statista – è il peggiore dei regimi politici, eccezion fatta per tutti gli altri. Ma la democrazia non può spingersi al punto di condannare un Paese al suicidio. È stato detto che in questo modo sembrerebbe non esistere un’alternativa di politica economica rispetto a quella seguita finora. Ma un’alternativa deve essere credibile. Quella del contratto giallo-verde ha già dimostrato, in Grecia, quali sarebbero stati i suoi tragici effetti. Se vogliamo fare un paragone i protocolli di Stamina, non sono un’alternativa per la cura del cancro. Sono una truffa, sbugiardata dalla scienza che, per sua natura, non va mai messa ai voti.



Il pensiero e le idee di Carlo Cottarelli sono noti e ribaditi nel suo rapporto come Commissario alla spending review e nei saggi che ha pubblicato. Tutto lascia credere che il suo governo resterà in carica solo per l’ordinaria amministrazione, dal momento che le Camere non gli daranno la fiducia. L’azione di Cottarelli, pertanto, sarà quella di impedire o almeno di rimandare i disastri che il governo Conte avrebbe fatto. E sarà già tanto. Il nuovo premier appartiene al Gotha dell’establishment, a quei circoli internazionali che oggi vengono indicati alla stregua delle demoplutocrazie.



Anche se ne avesse il tempo e le possibilità non credo che Carlo Cottarelli si avventurerebbe nel campo delle pensioni (il tormentone dell’alleanza giallo-verde). A suo avviso, il problema è stato egregiamente trattato dalla riforma del 2011. Delle pensioni Cottarelli si è occupato in veste di Commissario della spending review proponendo sostanzialmente dei tagli. Ma il contributo più importante lo ha dato denunciando le fake news e i luoghi comuni che circolano in materia e che vengono condivisi come se fossero oro colato, mentre si tratta di rappresentazioni grossolane sulla condizione degli anziani e dei pensionati.

Nel saggio “La lista della spesa” (Feltrinelli 2015) Carlo Cottarelli, ha evidenziato che “il reddito dei pensionati è rimasto abbastanza stabile rispetto a quello medio italiano, intorno al 45-50 per cento, dal 1980 al 2007. Successivamente, il rapporto è cresciuto rapidamente, raggiungendo il 58 per cento nel 2012”. Lo stesso Cottarelli, nel saggio, aveva fornito un confronto interessante. In Italia ci sono circa due milioni di pensionati con un reddito superiore di 26mila euro lordi annui (il reddito medio pro capite italiano). In Germania sono circa 650mila (a fronte di un reddito pro capite tedesco di circa un quarto superiore a quello italiano). Altro particolare curioso: a 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale sono erogate ancora più di 230mila pensioni di guerra per un onere di 1,4 miliardi di euro all’anno.

L’unica componente della spesa pubblica aumentata negli ultimi anni – del 10% – è stata quella previdenziale. Anzi, mentre il resto della spesa scendeva di 24 miliardi quella degli enti previdenziali cresceva di 28 miliardi. Perché si verificato un siffatto processo nonostante i tagli e le riforme nel frattempo intervenute? “La spesa per pensioni rispetto al Pil – scriveva Cottarelli – è tra le più alte al mondo e non solo perché siamo un Paese di vecchi, ma anche per le condizioni, relativamente generose, del sistema di pensionamento applicato per anni in Italia”. Nel suo ultimo saggio “I sette peccati capitali dell’economia italiana” (Feltrinelli 2018) Cottarelli è andato alla ricerca delle cause strutturali della crisi del sistema pensionistico, individuandole nel crollo demografico e nell’invecchiamento della popolazione, anche per quanto riguarda gli effetti sul mercato del lavoro. Ed è su questo terreno, anziché sul pensionamento facile, che il premier incaricato ha avanzato delle proposte innovative a livello fiscale e delle politiche sociali a favore della famiglia e della natalità.