È ormai risaputo che per inserirsi nel mercato del lavoro odierno è fondamentale disporre di un ampio corredo di abilità, conoscenze e competenze. Per di più, sempre più spesso, le offerte di lavoro richiedono un livello elevato di competenze a più ampio spettro. Un numero crescente di lavori richiede infatti il possesso di competenze quali le abilità comunicative, di problem solving, capacità di lavorare in team, nonché di essere dotati della cosiddetta intelligenza emotiva e delle soft skills. Un’ampia maggioranza dei posti di lavoro presuppone inoltre un discreto livello di competenza digitale, rendendo così anche i lavori, per i quali tradizionalmente non sono richiesti particolari titoli o qualifiche, sempre più impegnativi.
Alla luce dei numerosi dibattiti, linee guida e suggerimenti pervenute dalle imprese, oltre che dalle istituzioni comunitarie, la formazione viene ora intesa come un processo continuo, di natura incrementale, nella accezione del cosiddetto lifelong learning. Con questo termine si indica il processo di apprendimento continuo, che punta all’accrescimento del bagaglio di competenze e di conoscenze del singolo, ponendosi in linea con le esigenze del mondo del lavoro moderno. Il nuovo approccio, così inteso, si sostituisce all’idea, ormai superata, che una volta terminato il processo di apprendimento il lavoratore possa svolgere il mestiere, per cui è stato formato, per il resto della sua vita professionale.
In quest’ottica, dunque, la formazione professionale è divenuta uno strumento di politica attiva del lavoro, finalizzata a favorire l’occupazione, la produzione e l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro, facendo leva sul progresso scientifico e tecnologico. L’apprendimento e l’aggiornamento coltivati in maniera costante diventano quindi elementi fondamentali ed essenziali per la carriera professionale di ogni lavoratore, per il loro sviluppo e crescita personale.
Un interessante spunto di riflessione è stato di recente fornito da Anpal, che nel suo XVIII Rapporto sulla formazione continua – relativo agli anni 2016 e 2017 – ha descritto e analizzato le politiche a supporto della formazione dei lavoratori e delle imprese, comparando dati di scenario con approfondimenti e comparazioni a livello internazionale. Il quadro complessivo che emerge, nonostante le criticità, determinate in via principale dalla riduzione delle risorse, sembra fornire segnali incoraggianti di riassetto e di rilancio.
Significativo è ad esempio, il livello di fruizione della formazione da parte degli adulti (benchmark europeo misurato su adulti tra 25e 64 anni) che, nel 2016 in Italia, risulta essere all’8,3%, rispetto a una media europea del 10,8%, mantenendo quindi ancora un gap significativo, ma certamente confortante rispetto al 2015 quando risultava al 7,3%. Incoraggiante risulta anche il dato sulle imprese che puntano sulla formazione del personale. Malgrado il Paese sia ancora distante dagli indicatori dei paesi europei più virtuosi, il carattere strategico della formazione intesa a migliorare la competitività viene sempre più valorizzato anche dalle aziende italiane.
Si registrano segnali positivi anche per quanto concerne i Fondi paritetici interprofessionali. Si riscontra, infatti, ancora un costante processo di crescita delle imprese aderenti che sono quasi 950 mila e ben oltre 10,6 milioni sono i lavoratori del settore privato che ne beneficiano. Inoltre, nonostante il 2016 abbia visto l’entrata a regime del taglio di 120 milioni di euro annui per la parte relativa ai Fpi, le attività programmate dagli stessi sembrano mantenersi comunque su livelli non discostanti da quelli precedenti e comunque paiono distribuirsi su finalità sempre più attente a processi di mantenimento di competenze e all’innovazione. Notevole è infatti la presenza di avvisi tematici che riguardano l’economia digitale legate a Industria 4.0 e la green economy.
Il concetto moderno di formazione deve quindi, necessariamente, basarsi sul principio dell’imparare a ogni età, alla luce del quale, le competenze diventano un valore aggiunto nel mercato del lavoro. In tale ottica, quindi, da un lato le imprese dovranno mirare sempre di più alla formazione del personale per incrementare la competitività, e d’altro, la formazione dovrà essere intesa come uno strumento essenziale ai fini di una maggiore occupabilità, e pertanto, avere maggiore incidenza nell’attuazione delle politiche attive.