Il Jobs act, in particolare il decreto 150 attuativo delle deleghe in materia di politiche attive e di servizi per il lavoro, stabilisce che il ministro del Lavoro e le Regioni, per le parti di rispettiva competenza, esercitano il ruolo di indirizzo politico in materia di politiche attive per il lavoro, mediante l’individuazione di strategie, obiettivi e priorità che identificano la politica nazionale in materia.



In questo modo viene definita una rete dei servizi per le politiche del lavoro costituita da diversi soggetti, pubblici o privati, quali l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (l’Anpal), le strutture regionali per le politiche attive del lavoro, l’Inps (in relazione alle competenze in materia di incentivi e strumenti a sostegno del reddito), l’Inail (in relazione alle competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro), le Agenzie per il lavoro (i soggetti autorizzati allo svolgimento delle attività di intermediazione) e i soggetti accreditati ai servizi per il lavoro, i fondi interprofessionali per la formazione continua, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol divenuto nel frattempo Inapp) e Italia Lavoro Spa (oggi Anpal Servizi), il sistema delle Camere di commercio, le università e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado.



In questo contesto la rete dei servizi per le politiche del lavoro avrebbe dovuto promuove l’effettività dei diritti al lavoro, alla formazione e all’elevazione professionale previsti dalla nostra Costituzione e il diritto di ogni individuo ad accedere a servizi di collocamento gratuito inserito nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, mediante interventi e servizi volti a migliorare l’efficienza del mercato del lavoro.

L’Anpal è chiamata, all’interno di questa rete, a esercitare un ruolo di coordinamento dei servizi per le politiche del lavoro, nel rispetto delle competenze costituzionalmente riconosciute alle Regioni. E molta attenzione, in questo quadro complessivo, è stata, nelle ultime settimane, dedicata alle articolazioni regionali di questa organizzazione che, concretamente, si realizza nell’attività svolta dai Centri per l’impiego. L’enfasi posta nel contratto di governo sul ruolo di questi uffici territoriali per l’implementazione concreta del reddito di cittadinanza ci dovrebbero indurre ad alcune riflessioni.



Da tutte le rilevazioni emerge, chiaramente, come nel nostro Paese si investa (troppo) poco sui servizi per il lavoro, in particolare se si guarda, in maniera comparata, ai principali Paesi europei, e come gli operatori delle strutture italiane siano responsabili della presa in carico di un numero sproporzionato di persone, a vario titolo, alla ricerca di un lavoro.

Parimenti non si può immaginare che questo significhi un mero, e semplice, ritorno al collocamento pubblico come quello operante in Italia prima delle grandi riforme degli anni 90.

Sarà, insomma, necessario continuare a sperimentare, immaginando proficue collaborazioni tra tutti i soggetti, pubblici e privati, potenzialmente interessati ad accettare la sfida, partendo dall’implementazione di quelle “best practices” di successo che in questi ultimi anni si sono realizzate, a macchia di leopardo, nei diversi territori.