Per ora è solo un’ipotesi, certo un’ipotesi di contratto, ma sempre ipotesi rimane. Stiamo parlando della piattaforma per il contratto dei lavoratori del settore chimico- farmaceutico: dopo i passaggi con le assemblee e tra i lavoratori, dovrebbe essere siglato definitivamente entro l’estate. Il rinnovo riguarda il triennio 2019-2021 e a esso sono interessati oltre 176mila lavoratori di 2.700 imprese. Sarebbe scaduto il 31 dicembre 2018. Per il prossimo triennio, la richiesta di aumento dei sindacati alle associazioni datoriali è di 130 euro complessivi (Tec), di cui 95 euro di trattamento minimo (Tem).
“Essendo per di più la prima piattaforma contrattuale elaborata dopo l’Accordo interconfederale del 9 marzo scorso – ci dice Angelo Colombini, segretario confederale Cisl – era un importante banco di prova per un modello virtuoso di relazioni industriali”, quello del settore chimico per l’appunto, che è sempre stato all’avanguardia su numerosi punti, a cominciare proprio da quello dei rapporti tra imprenditori e lavoratori.
Proviamo a scorrerne insieme alcuni dei punti salienti.
Organizzazione del lavoro: le parti hanno concordato di trovare soluzioni che tengano presente l’età media dei lavoratori. In altri termini, in azienda si cercheranno soluzioni per garantire un invecchiamento attivo, con evidenti vantaggi in termini di salute e di sicurezza, ma anche con presumibili nuovi massicci inserimenti di giovani.
Legato a questo capitolo vi è anche quello dei nuovi orari di lavoro: si agevoleranno i più anziani, ma nel contempo si provvederà a garantire assunzioni di giovani.
Quanto alla formazione, si sa che essa è un po’ la cenerentola per tanti politici ed economisti, ma chi conosce il mondo delle imprese sa che senza di essa non solo le fabbriche chiuderanno, ma i lavoratori rischieranno di non poter più essere impiegati da nessuna parte. Al centro del nuovo contratto è stata, dunque, posta la discussione sulle nuove competenze di cui ognuno dovrà dotarsi.
Salute e sicurezza: la media degli infortuni sui luoghi di lavoro è costante da tempo, ma bisogna operare per diminuirli. Molti dei provvedimenti compresi nel contratto vanno in quella direzione.
Veniamo, infine, ai soldi. Per quanto concerne il welfare aziendale, si mantengono, e anzi vengono potenziati, tanto i fondi bilaterali che il Fondo Tris (cioè uno specifico accordo che riguarda il settore chimico, in base al quale vi è la possibilità di andare in pensione cinque anni prima, utilizzando gli ammortizzatori sociali e tre anni pagati dall’azienda).
Vi sono incrementi sui Fondi sanitari (oggi 21 euro al mese sono a carico delle aziende e 3 dei lavoratori: si vorrebbe che l’intero incremento fosse a carico dell’azienda). Identica considerazione per il Fondo di previdenza del settore: nel contratto si definisce la possibile iscrizione a esso di tutti i lavoratori a partire dai giovani, cioè di coloro che più di tutti hanno bisogno di prevedere sostegni ai loro futuri redditi (si fa per dire) pensionistici.
Come si diceva prima, si tratta di un contratto che tiene conto delle recentissime novità introdotte dall’intesa tra Confindustria e sindacati: Tem (Trattamento economico minimo) e Tec (Trattamento economico complessivo) prevedono 95 euro al minimo e 130 euro complessivi. Tutto questo per cosa? In fondo, è solo un contratto, uno dei tanti che ogni anno si sottoscrivono, e che riguarda certo un settore importante, ma in fondo non il più importante né il più numeroso. Tutto vero. Anzi, verissimo.
Ma, c’è un ma. Perché sarà anche il primo contratto Tem e Tec, ma è soprattutto il primo contratto nell’epoca pentaleghista. E dunque?
Dunque: abbiamo di fronte un governo che ha convinto gli italiani che non avevano nulla più da perdere e che erano alla disperazione, vittime del complotto mondiale, impoveriti e ridotti alla fame, assaltati da orde di stranieri barbari e violenti pronti a sottrarre loro lavoro, soldi, case. E pure donne e bambini. Per questo, per risolvere il tutto sarebbe bastato, nell’ordine: tagliare le tasse ai più ricchi; mandare a fondo un po’ di barche; sostituire i contratti di lavoro con le leggi dello Stato; inventarsi un salario di Stato per chi non lavora. Più varie ed eventuali.
Il problema è che chi ha inventato quel bel programma economico-finanziario è gente che nelle fabbriche ci è solo passata per fare comizi e che non conosce, se non per sommi capi, come funziona il complesso sistema delle relazioni industriali. E nessuna legge (fatta da costoro o da altri poco importa), potrà mai avere la flessibilità, la ricchezza di sfumature, la precisione conoscitiva che hanno i protagonisti di un tavolo negoziale sindacale e industriale.
Ma, secondo voi, ci possiamo aspettare dal nostro beneamato sistema una norma sulla formazione continua come quella appena decisa per il settore chimico-farmaceutico, che si applichi anch’essa in tempi certi, modi sicuri e risultati utili? Se c’è un punto che la legge del Jobs Act aveva di importante era proprio quello sulla formazione e il reinserimento: secondo voi, in campagna elettorale si è parlato di questo o solo di “quota 100”? Concediamo che lo abbian pure fatto per omaggiare la Grande guerra e le vittime che allora si immolarono per conquistare le varie “quote 85” o “quota 76” sulla linea del fronte e non invece, come sospettano i malpensanti andreottiani, per insipienza: resta che nessuno si è mosso per attivarsi nello specifico.
Oppure, secondo voi, il Governo (parliamo di quello precedente, perché questo è appena arrivato benché il “Contratto” al riguardo sia, diciamo, piuttosto reticente) potrà mai mettersi a convincere gli italiani per legge a iscriversi ai fondi pensionistici?
O infine: com’è che questioncelle quali anzianità pensionistica, fatica del lavoro, turni massacranti, si risolvono per contratto e non si risolvono invece nei talk show televisivi?
Non è che questo contratto, concludiamola così, dimostra che se il 4 marzo gli italiani hanno democraticamente deciso di affidarsi alle Stelle (perché il nostro che era un solo Stellone sia invece stato moltiplicato per cinque resta un mistero che gli storici provvederanno primo o poi a chiarire), in vista di un futuro ignoto, quegli stessi problemi possono essere risolti, qui e subito, da un contratto?
Come direbbe Lapalisse: meglio un buon contratto oggi che una pessima legge domani.