Nel 1986 l’Italia, proprio in questi giorni, era in Messico a giocare il Mondiale di calcio da campione in carica uscente. Nello stesso anno usciva nei cinema una commedia diventata, a suo modo, un “classico” della commedia italiana dei ruggenti anni 80: “Il ragazzo del pony express”.

Nel film un giovane ragazzo disoccupato, soprannominato “Ago”, interpretato da Jerry Calà, che non riesce a trovare lavoro nonostante abbia una laurea con lode, su segnalazione di una sua ex compagna di università, decide di provare a lavorare in una piccola agenzia di pony express. Grazie a questo “lavoro” il giovane avrà modo di incontrare e di innamorarsi, anche se la cosa non era troppo difficile, di una giovane, e bellissima, Isabella Ferrari.



Trentadue anni dopo, per molti aspetti un secolo, un revival del film potrebbe essere chiamato “Il rider della gig economy”, con protagonista un pony express 2, o 4, punto zero, simbolo dell’economia, appunto, dei lavoretti.

Ma che cos’è, di preciso, questa gig economy di cui tanto si è parlato, e si parla, in questi giorni? Per gig economy si intende, almeno così ci dice Google, un nuovo modello economico sempre più diffuso dove non esistono più le prestazioni lavorative continuative (il posto fisso, con contratto a tempo indeterminato), ma si lavora on demand, cioè solo quando c’è richiesta per i propri servizi, prodotti o competenze.



Domanda e offerta, in questo nuovo sistema, vengono gestite online attraverso piattaforme e app dedicate nel campo dell’affitto temporaneo di camere, delle attività da freelance come la progettazione di siti web, della vendita di prodotti artigianali, dei trasporti privati alternativi ai taxi e, con una particolare enfasi – ad esempio, nel dibattito pubblico italiano – delle consegne a domicilio. Foodora, probabilmente contro la sua volontà, sembra diventata il simbolo “negativo” di questa vicenda.

In questo contesto il nuovo governo giallo-verde ha mostrato una chiara volontà, pur contemperando le esigenze di tutte le parti interessate, di garantire condizioni migliori per questi lavoratori.



Due sono i percorsi immaginati. Nel primo, il Governo vara una norma in cui si stabiliscono i contenuti minimi retributivi e di tutele assicurative e previdenziali. Nel secondo, certamente più auspicabile, ci si propone di mettere insieme i rappresentanti delle piattaforme e dei riders per costruire un nuovo modello di contratto che riguardi, in prospettiva, anche altri lavori di un futuro non così troppo lontano.

La speranza è che, alla fine, una soluzione seria e sostenibile venga trovata, diventando una buona pratica da estendere a tante “nuove” figure professionali che operano in un mercato del lavoro in profondo, e continuo, mutamento.

Insomma, l’auspicio è che questa vicenda abbia un lieto fine e che, magari come nel film citato prima, ogni rider trovi, nel frattempo, la sua Isabella Ferrari del terzo millennio e possa, anche grazie a un lavoro più garantito, costruire serenamente con lei una bella famiglia 2.0.