Come primo atto ufficiale del suo mandato il neoministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha voluto incontrare i rider, il più recente emblema della precarietà contrattuale e salariale. La Regione Lazio ha approvato nei giorni scorsi una proposta di legge regionale a tutela dei rider, mentre a Bologna, lo scorso 31 maggio è stata firmata la prima Carta dei diritti dei fattorini, sottoscritta dalle istituzioni e dai sindacati locali. Le iniziative della Regione Lazio e del Comune di Bologna hanno il merito di dimostrare quanto ci sia bisogno di regole nuove e tutele per questi lavoratori. Ma con esse si dimostra evidente l’esigenza di una regolamentazione nazionale, meglio se di natura contrattuale. Occorre, quindi, portare questa discussione sul piano nazionale e passare da una Carta dei diritti a un accordo che fornisca protezioni concrete ed esigibili ai lavoratori.
Le relazioni industriali devono porsi temi finora mai affrontati nella normale contrattazione, ma già sperimentati con accordi pionieristici d’avanguardia nella negoziazione delle federazioni di rappresentanza del mondo atipico. Per dare risposte al nuovo non serve, quindi, riaffermare il “già saputo”, ma occorre ridefinire i propri assunti culturali, senza tradirli, traducendoli però in azioni specifiche più corrispondenti ai bisogni contingenti. In questo particolare mondo dei rider dovremo, quindi, occuparci delle regole di ingaggio con le quali la disponibilità del lavoratore, tramite la app, incrocia i bisogni di servizio, visto che non esistono turni od orari classici, ma anche del diritto alla privacy, della costruzione di sistemi reputazionali, di modalità nuove di recesso dalla prestazione che siano tutelanti. Dobbiamo fare i conti con sfide nuove per le relazioni industriali.
“Quello che erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo per possederlo”: citando Goethe, possiamo sintetizzare con questa frase la grande avventura sindacale che attende questo tempo. Di fronte a un cambiamento d’epoca, nel quale siamo totalmente immersi, occorre ricostruire tutele che, qualche anno fa davamo per scontato, se non addirittura avviate su una direttrice ascensionale dei diritti nel lavoro. Occorre, quindi, ridefinire tutele generali minime. Oltre ai salari, pensiamo alla malattia, alle ferie, ai riposi, alla definizione di un orario massimo giornaliero e settimanale, alla gestione delle assicurazioni previdenziali e infortunistiche che vadano oltre quelle minimali. Insomma, parliamo dell’abc delle tutele contrattuali. Dobbiamo farlo in modo nuovo per questo particolare modo di lavorare.
Come Cisl, vogliamo puntare a un sistema di “tutele crescenti” che aumenti le protezioni a seconda dell’intensità della prestazione scelta dal lavoratore. Se voglio lavorare tutta la settimana, il diritto al riposo è importante; se lavoro solo nei week-end, lo è meno, per esempio; oppure basti pensare alla platea dei soggetti interessati: uno studente che lavora solo poche ore alla settimana, preferirà avere il massimo della flessibilità (anche per coniugare i molteplici altri interessi di un giovane) a discapito magari di qualche altra garanzia, mentre una persona che svolge questa attività in modo continuativo, dalla quale fa derivare il proprio sostentamento economico, avrà bisogno di un sistema di tutele molto più complesso e articolato.
Dobbiamo, inoltre, creare un sistema mutualistico con il quale finanziare e costruire protezioni e tutele che il lavoratore può chiedere di ottenere. La chiave sta nella bilateralità e nella mutualizzazione di prestazioni che servono molto al lavoratore e che possono essere finanziate in modo collettivo.
Le aziende devono capire che il lavoro ha bisogno di tutele, ma è vero anche che stiamo parlando di un mercato del lavoro non stabile, frammentato, nel quale i rapporti sono scostanti e discontinui. Oggi più di ieri serve avere un fondo mutualistico che fornisca prestazioni utili ai lavoratori.
Da qui l’esperienza realizzata nella somministrazione può esserci molto utile: in un settore temporaneo, frammentato, discontinuo, le parti sociali sono state in grado di costruire un impianto di tutele in grado di generare un beneficio reale per i lavoratori, attraverso prestazioni di welfare integrativo, che copre esigenze sanitarie, per la maternità, infortuni, ma anche sostegno allo studio dei figli, agevolazioni per la mobilità territoriale, accesso al credito e molto altro. Un vero e proprio secondo welfare.
Oltre a questo, però, anche la formazione è stata oggetto di condivisione tra le parti sociali, attraverso la creazione di un fondo (Forma.Temp) che offre la possibilità di attivare percorsi professionalizzanti al fine di incrementare l’occupabilità dei lavoratori: questo diventerà sempre più decisivo, in quanto l’occupabilità nel mercato del lavoro diventerà una tutela primaria, forse anche più importante della “occupazione” di un posto di lavoro.
Quest’ultimo aspetto è molto pertinente e di prospettiva, se parliamo della questione “rider”, per un semplice aspetto: una persona potrebbe svolgere questa attività per poche ore alla settimana o per 40 ore alla settimana, ma certamente non potrà svolgere questo lavoro per tutta la vita, quindi è necessario prevedere strumenti che non immobilizzino la persona, ma anzi, cogliendo un’opportunità lavorativa, questa la possa proattivare in un rilancio professionale.
Al termine di questa mia riflessione, mi accorgo di non aver parlato di salario minimo per legge.
Spero che la politica non voglia soffocare il grido di partecipazione e il bisogno di rappresentanza espresso da una generazione, pensando di risolvere tutto con una norma calata dall’alto, ma favorire un confronto serio e responsabile tra le parti sociali, al fine di iniziare a governare questo nuovo mondo.