Luigi Di Maio è non solo tra gli artefici della formazione del governo giallo-verde, ma anche colui che va a occupare una posizione di rilievo nel consiglio dei ministri. Non solo perché è Vice Presidente del consiglio, ma anche perché è SuperMinistro del lavoro e dello sviluppo economico. I due ministeri (Welfare e Mise) sono dunque accorpati. Lasciamo all’accademia il problema di dissertare su questa opportunità, noi – al di là delle competenze del leader a cinque stelle – ci limitiamo a dire “perché no?”. La notizia era stata anticipata su queste pagine un paio di settimane or sono e in queste ore ha trovato la sua conferma.



Ma, cosa ha intenzione di fare Di Maio? Sul tavolo, come dicevamo venerdì, ci sono dei dossier aperti. C’è Ilva in particolare, c’è Honeywell il cui problema della Cig va affrontato.

Tuttavia, posto che il leader a cinque stelle non ha una grande formazione in materia, è chiaro che questa è un’area che incontra la sua sensibilità politica. Stiamo a vedere se il giovane Di Maio sarà in grado di affrontare la sfida della trasformazione di Industry4.0 che attraversa il nostro tempo. Va detto che l’atteggiamento baldanzoso che il Ministro ha con le Parti sociali non corrisponde al reale bisogno che il Paese ha per la sua crescita. Non dimentichiamoci che in quel 35% di imprese che risponde al piano industria4.0 che genera una crescita del +0,9% della produttività 2017 e che incide sul +0,9% del Pil 2018 (stima prudenziale, +2% stima potenziale) si registrano accordi di secondo livello che sono alla base dell’attuazione del piano industria4.0 e, appunto, dello sviluppo economico e occupazionale. Il problema è semmai come andare oltre questo 35%, ma la direzione pare irreversibile.



Per quanto riguarda invece il più stringente piano del lavoro e dell’occupazione, lasceremmo perdere idee bizzarre più che altro proposte e riproposte da Beppe Grillo e consiglieremmo il giovane Ministro di guardare alla realtà delle cose. L’Italia ha storicamente un grosso deficit sul piano del lavoro, se non sulla carta, certamente sul piano attuativo. Le economie avanzate, parallelamente ai cambiamenti che si sono registrati in questi ultimi venti anni, hanno rafforzato gli strumenti di protezione sociale in particolare investendo sulle politiche attive, ovvero sulla capacità di intercettare i flussi occupazionali in uscita dal mercato e, anche, il raccordo scuola-lavoro.



Proprio circa le politiche attive, il nostro Paese – dopo la riforma del Titolo V (2001) – si è trovato nella situazione in cui solo poche regioni hanno costruito servizi funzionanti (la spesa invece sì…). Da qui l’ipotesi di un’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal). Dentro questa incapacità di governare la trasformazione del lavoro, alcuni macrofenomeni sono diventati delle vere e proprie patologie, tanto che Di Maio e il M5S hanno – proprio sul terreno del welfare – un consenso che non è sottovalutabile e che “supera” quello delle rappresentanze sociali, ovvero del sindacato. 

In Italia quasi la metà degli iscritti ai sindacati sono pensionati. Mentre solo il 10 per cento degli iscritti sono giovani, giovani che peraltro sono inquadrati per la maggiore parte con forme di lavoro atipiche e che durante gli anni della crisi economica sono stati lasciati soli. Il fenomeno delle partite Iva, che ormai compie 20 anni, è un vulnus che non solo rappresenta tutta l’incertezza e la precarietà del presente, ma anche un grande enigma per il futuro. Con quale pensione vivranno la loro terza età i “finti autonomi”?

Siamo dentro un momento in cui è molto difficile distinguere la propaganda dalle intenzioni reali. Cosa davvero ne sarà del contratto di governo lo vedremo. Certo è che in prospettiva è arduo pensare che l’egemonia Di Maio-Salvini sarà interrotta. Le intenzioni dei due restano un fattore di rottura che proprio sul terreno del welfare può introdurre delle novità: al di là del reddito di cittadinanza, potrebbe finalmente esplodere il tema del nuovo welfare e del suo riordino. È vero, il welfare costa. Ma la verità è che modernizzare un Paese significa investire per il futuro. E qualche intervento strutturale è necessario: i richiami al bilancio pubblico – “con quali soldi?” si chiedono i Professori – sono relativi, i soldi si possono trovare. Il punto vero è se Di Maio e Salvini li sapranno spendere bene.

Ora: cosa vuol dire spendere bene? Significa scommettere e investire su fattori innovativi a cui può corrispondere crescita del lavoro nel breve/medio termine. Può, dunque, il governo del cambiamento permettersi di non porre la questione industriale al centro dell’agenda politica nell’era della quarta Rivoluzione industriale? Possiamo avere dubbi circa il rilancio di Ilva quando un player globale è deciso a investire 5,3 miliardi di euro? La risposta è una sola: no, non si può.

Caro Di Maio, complimenti. Così giovane nelle stanza dei bottoni. Ora però si tratta di passare dalle chiacchiere a cui la politica ci ha abituato alle scelte da cui il nostro futuro dipende. Sinceri auguri, per lei e per tutti noi.

Twitter: @sabella_thinkin